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Il campo napoletano per Kobe Bryant è già chiuso per burocrazia

Oltre il successo mediatico, la realtà è che il parchetto a Montedonzelli è inagibile. L’avviso di chiusura è stato fatto sparire, cancelli aperti e transenne abbattute

Il campo napoletano per Kobe Bryant è già chiuso per burocrazia

Il campetto di Kobe è già chiuso. Il parchetto di Montedonzelli non ha ancora finito il suo giro sui social del mondo in lutto per Bryant, che nel frattempo, spenti i riflettori sull’evento, è già tornato alla piccola realtà cittadina, fatta di burocrazia, scartoffie, diritti, e resistenze.

E’ chiuso, anche se è aperto. Dalle 13 di domenica, il corridoio faticosamente messo a punto dall’ufficio tecnico municipale per garantire alle centinaia di appassionati di portare a termine il memorial day senza infrangere la legge, ha smesso di esistere. Era un permesso straordinario, a tempo, per evitare che la Polizia Municipale intervenisse a sgombrare la folla di cittadini, associazioni, rappresentanti del basket napoletano, che nel frattempo aveva messo in piedi un virtuoso riciclo di uno spazio abbandonato nel nome della star dell’NBA morto il giorno di Napoli-Juventus.

Kobe Montedonzelli

La disposizione dirigenziale di chiusura, affissa, è stata immediatamente fatta sparire. Il cancello principale, quello più volte vandalizzato in passato, è aperto. Le transenne di plastica arancione sono accasciate a terra, abbattute dal passaggio. Il playground è umidiccio e sgombro. La festa è finita, e sono tutti andati via in pace. Ora tocca fare un passo indietro, anche se il giallo e il viola hanno coperto il grigiore dei mesi scorsi, e l’idea che tutto torni allo stato brado è abbastanza avvilente.

Giovedì pomeriggio è fissato un appuntamento tra il Comitato dei cittadini di via Dell’Erba e la Municipalità. Obiettivo comune: fare in modo che lo spazio torni a vivere sull’onda delle 24 ore per Kobe, e lo faccia presto e in sicurezza. Di mezzo c’è la macchina burocratica, con i suoi tempi, i suoi vincoli: non guarda in faccia a nessuno.

Kobe Montedonzelli

Il comitato si dice pronto ad assumersi l’onere di “curare” gli spazi, di investirci tempo e denaro, persino di occuparsi di una ristrutturazione delle aree. Ma nell’impossibilità che il parco resti agibile nel frattempo, chiedono che sia chiuso, davvero. E sorvegliato.

“E’ un posto frequentato da tossicodipendenti, da gente che fa sesso. Abbiamo alzato da terra siringhe, c’erano macchie di sangue. Non più tardi di un paio di settimane fa è morta una ragazza in overdose. Chiediamo che nel mentre si avvii la trafila burocratica il parco sia illuminato di notte, e che ci sia un guardiano. Basterebbero dei riflettori, abbiamo cittadini che vivono intorno al parco e che si sono detti pronti a sorvegliarlo dall’alto. E’ uno sforzo minimo per impedire che ciò che di buono è stato fatto in questi giorni venga di nuovo rovinato. Vorremmo per esempio mettere un plexiglass a copertura del murales di Jorit: basta un graffito per rovinare un’opera d’arte. Abbiamo dei progetti da presentare giovedì”.

Kobe Montedonzelli

Lo stato dell’arte – è proprio il caso di dirlo – è fermo di fatto al 2018, quando un’ordinanza rilevava l’inagibilità dei luoghi. Il miracolo di Francesco Sow, il ragazzino napoletano di 14 anni che è riuscito a convogliare a Montedonzelli l’americano Nick Ansom, presidente della Venice Basketball League, che di mestiere aggiusta i campetti di strada nel mondo, è sbucato dal nulla di un quartiere ombra. Ma solo l’adesione di centinaia di persone ha impedito che sabato sera la Polizia Municipale non sgombrasse tutto nel nome di un’evidenza: chi stava provando a cambiare i destini di un luogo abbandonato lo stava facendo forzando la legge. Da lì l’escamotage del “corridoio” disegnato dall’Ufficio tecnico municipale che dribblasse le zone interdette e permettesse lo svolgimento della festa l’indomani. Una scelta di buon senso e di opportunità.

Nick Ansom è ripartito per Los Angeles, a via dell’Erba restano i suoi abitanti, i ragazzini che hanno continuato a giocare a basket nel parchetto anche quando era devastato. Il problema, tornando alla sostanza, è che ora per sbloccare davvero un luogo rinato per 24 ore appena, bisogna passare per un bando pubblico di affidamento. Un bando che va scritto, va vinto, e a cui va dato seguito facendo lo slalom tra i paletti delle svariate normative. Tradotto in tempo: non meno di due mesi. In cui si spera che le luci restino accese, almeno quelle della ribalta.

 

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