“Il challenge serve a calmare gli animi ma è una astuta presa in giro. Come disse Shankly: «Gli arbitri conoscono le regole ma non conoscono il gioco»”
Su Il Giornale, Tony Damascelli commenta la richiesta della Figc all’Ifab di sperimentare la Var a chiamata, la challenge.
Lo fa, scrive, per rispondere alle richieste dei club. E per provare a mettere fine alle polemiche. Ma il fine è un altro.
“Trattasi in verità di una spinta che arriva da Fifa e Ifab (che sono la stessa cosa, in fine) per aumentare il potere degli arbitri e, soprattutto, per dare allo staff che segue le partite la possibilità di intervenire, di suggerire all’arbitro di campo la più corretta decisione, così smentendo platealmente quanto asserito da Nicola Rizzoli a specifica domanda di Carlo Ancelotti: «Voglio sapere chi arbitra il Var o l’arbitro in campo?». Il designatore ribadì che l’arbitro era ed è il giudice finale, tanto per non delegittimare la categoria”.
Il Var, scrive, è stato introdotto per garantire margini di giustizia superiori.
“In verità lo strumento tecnologico è di per sé vicino alla perfezione a differenza della classe dei giudici chiamati a utilizzarlo”.
Aiuta a determinare quando si tratta di fuorigioco e anche di gol effettivo, ma il Var introdotto dalla Federcalcio (con Tavecchio presidente) “per ragioni squisitamente (!) politiche”, ha creato solo confusione. E non solo in Italia.
“L’introduzione del challenge (si dovrà definire a quante chiamate avrà diritto ciascuna squadra ma quando verrà raggiunto il tetto, che accadrà con un nuovo episodio discusso?) serve a calmare gli animi ma è una astuta presa in giro di chi non ha ancora capito in che mani sia finito il giocattolo più bello del mondo. Prepariamoci a un nuovo football, sempre più scientifico, con nuove regole ma con gli stessi mediocri giudici, pilotati, utilizzati per motivi politici e non sportivi. Lo ha detto per primo Bill Shankly, scozzese, leggenda del calcio britannico con il Liverpool: «Gli arbitri conoscono le regole ma non conoscono il gioco»”.