Su Repubblica. Oggi si deciderà definitivamente sulle porte chiuse, ma l’immagine che viene fuori dell’Italia è compromessa. E la questione intera da teatro dell’assurdo
“Più che il derby d’Italia, Juventus-Inter sta per diventare lo specchio dell’Italia”.
Lo scrive Maurizio Crosetti su Repubblica. Perché la partita, che quasi certamente si giocherà a porte chiuse (la decisione finale arriverà oggi), è l’emblema di un Paese senza certezze.
“E allora, salvo colpi di scena, domani sera allo Stadium ci saranno solo i giocatori, gli allenatori, i dirigenti, gli arbitri, gli ispettori federali, i medici, i barellieri, i poliziotti, i vigili del fuoco, 150 giornalisti e i fotografi, ma loro non a bordo campo, loro soltanto in tribuna: inquadreranno con i teleobiettivi un teatro dell’assurdo”.
A duecento paesi nel mondo, scrive Crosetti, l’Italia sarà mostrata come un lazzaretto.
“Col cavolo che gli stranieri verranno qui nei prossimi mesi”.
Ma ci sono anche i paradossi.
“E se un torinese che non può vedere Juve-Inter, magari dopo avere comprato un biglietto che non sarà rimborsato, decidesse di andarsene in gita a Napoli oppure a sternutire al Colosseo? Quello potrebbe farlo”.
Juve-Inter è una partita da un miliardo di euro di fatturato. Un duello tra Exor e Suning, e ancora fino a ieri sera la Juventus non sapeva se davvero sarebbe stata giocata senza pubblico.
Ieri la conferenza stampa di Conte si è svolta su Skype, senza la stampa.
“Avevano paura di essere contagiati da qualche redattore untore, o che qualcuno domandasse a Conte se è vero che lui è un simbolo della Juve, come ha appena detto Andrea Agnelli?”
Anche Sarri oggi non parlerà. Le interviste ci saranno, però, come la partita, “sprangata e disinfettata” come altre.
“«Vogliamo far ripartire lo sport garantendo la salute», ha ripetuto fino a notte il ministro Spadafora. In Piemonte, i divieti sportivi in teoria si chiudono domani sera, più o meno al fischio finale di Juve-Inter, dunque Juve-Milan di Coppa Italia, mercoledì, si dovrebbe giocare con il pubblico. Tre giorni dopo la grande chiusura: ma può cambiare qualcosa, in tre giorni? O è tutto troppo tardi, oppure troppo presto. Aveva ragione Brera, a chiamarlo derby d’Italia. Niente è più Italia di questo”.