Intervista a Il Giornale: “Il Milan di Berlusconi fu protagonista di una rivoluzione calcistica e culturale. Sacchi ci ha cambiato la vita e allungato la carriera. Con Ancelotti amici e complici. Allegri uno dei più capaci in circolazione”
Il Giornale intervista Mauro Tassotti, vice allenatore di Ševčenko sulla panchina della Nazionale ucraina. Ma soprattutto ex difensore storico del Milan di Arrigo Sacchi, a cui il suo nome continua ad essere abbinato. Tassotti spiega perché.
«Perché tutti insieme, la società con Berlusconi in testa, e la squadra, siamo stati protagonisti di un’autentica rivoluzione culturale oltre che calcistica. Prima di Arrigo, le nostre squadre, le più attrezzate anche, andavano all’estero e consideravano un’impresa ottenere il pareggio, o addirittura perdere di poco, limitare i danni era l’espressione in uso. Quel Milan ha capovolto la realtà sostenendo che anche fuori casa, giocando meglio, si potesse vincere».
Tassotti parla degli allenatori con cui ha lavorato quando era un giocatore del Milan. Definisce Liedholm un monumento.
«Poi arrivò Liedholm, un monumento di allenatore, sul conto del quale si raccontano favole: per esempio non è vero che mi mettesse al muro per migliorarmi tecnicamente».
Chi però cambiò la vita al Milan fu Sacchi.
«Sacchi è quello che ci ha cambiato la vita e allungato la carriera, una specie di gerovital: i suoi metodi di allenamenti erano sconosciuti cui aggiungeva il martellamento ossessivo a parole e il clima, a Milanello, era quasi religioso. Persino durante lo stretching non si poteva chiacchierare o sorridere».
Su Capello:
«La vulgata ha descritto Fabio Capello come un sergente di ferro e invece ci ha fatto vivere bene. Quella squadra andava quasi da sola, in quegli anni».
Quando è diventato allenatore, invece, Tassotti ha avuto a che fare con altri miti della panchina. Cesare Maldini, per esempio,
«Alla prima esperienza in prima squadra, mi sono seduto al fianco di Cesare Maldini, il papà di Paolo, col quale era facilissimo andare d’accordo».
Ma anche Ancelotti, Leonardo e Allegri.
«Con Ancelotti poi l’intesa si è perfezionata. Oltre che amici, eravamo diventati complici. Se Carlo aveva qualche dubbio, mi interpellava e io, senza fare sconti, esprimevo il mio parere. Se non mi chiedeva, non intervenivo anche per non avere rogne su eventuali fughe di notizie. Leonardo invece fu spinto a fare l’allenatore, non aveva dentro il sacro fuoco. Amava più risolvere questioni spinose con i giocatori che occuparsi di questioni tecniche. E infatti, potendo scegliere, ha fatto il dirigente poi. Con Allegri mi son trovato benissimo: lo considero uno degli allenatori più capaci in circolazione. Gli avevo promesso che, finita l’esperienza al Milan, l’avrei seguito alla Juve. Alla fine, invece, rimasi con Pippo Inzaghi per spirito di servizio e fedeltà alla bandiera».
Tassotti parla anche di Ibrahimovic e di Gattuso. Erano suoi compagni di squadra nel Milan, nel 2010.
«Ogni tanto sbraitava. E quando ti trovi di fronte uno che pesa 96 chili ed è alto 1,95, è meglio stare alla larga. Eppure in quel Milan c’era chi gli teneva testa. Chi? Uno come Rino Gattuso, per esempio».
Ibra serviva a questo Milan, continua
«Avessero avuto piena libertà Maldini e Boban, avrebbero anticipato l’arrivo di qualche esperto. Ibra è un campione. E i campioni sono diversi da tutti gli altri. L’ha dimostrato subito, nonostante fosse fermo da oltre due mesi».
Tra risultatisti e giochisti si schiera nel mezzo. Dichiara:
«Ho sempre pensato che se giochi bene, alla fine, vinci».
Su Conte e Sarri:
«Temevo che Conte facesse subito bene all’Inter. Riconosci al volo le sue squadre: è accaduto con la Juve, con la Nazionale, col Chelsea e ora con l’Inter. Non pensavo invece che Sarri impiegasse così tempo per dare una marcata identità alla sua Juve».