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Il telecronista deve raccontare la partita o diventarne protagonista?

Ora si sovrappongono all’evento sportivo, come a voler ripristinare una realtà virtuale che possa surrogare la nostalgia di non essere più sotto i riflettori

Il telecronista deve raccontare la partita o diventarne protagonista?

Oggi le tv tematiche che trasmettono calcio e sport hanno adottato la denominazione “talent” per connotare gli ex calciatori o atleti che accompagnano la telecronaca prestando il commento come seconda voce. Ma l’impressione è che qualcuno di loro abbia preso talmente sul serio l’appellativo di “talento” al punto da sovrapporsi all’evento sportivo, cercando di essere più protagonista dei giocatori in campo. Come a voler ripristinare una realtà virtuale che possa surrogare la nostalgia di non stare più sotto i riflettori allorquando davvero giocava. Una specie di terapia psicologica riabilitativa che si esercita urlando e strepitando ad ogni pie’ sospinto come se ogni partita fosse degna dell’enfasi di una finale di Coppa del Mondo.

Un’enfasi che in realtà nasconde solo la velleità egocentrica di ergersi al di sopra di tutto ciò che sta accadendo, mettendosi in mostra più dei veri interpreti. Sarebbe meglio ricordare che il miglior commento possibile, giornalisticamente parlando, è quello che sa raccontare senza mai defocalizzare la cronaca e senza mai fagocitare l’emozione del gesto tecnico. E solo chi davvero ci riesce, con sincerità, sobrietà, creatività e scrupolo, può davvero considerarsi un talento. Per gli amarcord gratificanti ci sono palcoscenici intimi più delicati. E soprattutto più credibili, apprezzabili e accoglienti…

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