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Ines Geipel racconta il doping di Stato nella Germania dell’Est

Repubblica intervista l’ex campionessa di atletica della Ddr: “Dal 1974 al 1989 sono stati dopati 14mila atleti. Centinaia sono morti e molti figli sono malati. Il doping cominciava a otto, nove anni”

Ines Geipel racconta il doping di Stato nella Germania dell’Est

Figlia di due agenti della Stasi

Se andaste a cercare, nei registri ufficiali, il nome di chi detiene il record del mondo nella staffetta 4X100 non lo trovereste. Eppure, dal 1984, è ancora imbattuto e appartiene a Ines Geipel.

Il nome della campionessa di atletica della Ddr, tuttavia, non compare nei registri ufficiali. Al suo posto solo una stellina. Ines Geipel ha chiesto che il suo nome fosse cancellato perché quel record era figlio del doping di Stato.

Lo spiega oggi Repubblica che ospita una splendida intervista di Tonia Mastrobuoni all’atleta, che racconta un’infanzia vissuta senza sapere che il padre – ufficialmente un insegnante – fosse un agente della Stasi e la madre una spia.

In casa sua la violenza era all’ordine del giorno: il padre si sfogava così al ritorno dalle missioni in cui era impegnato. L’unica opportunità per uscire dalla Germania dell’Est, un paese che era “una gabbia”, era fare sport:

“Lo sport ad alti livelli era il Sacro Graal. La Ddr voleva essere meglio dell’Urss, degli Usa. E per noi, “generazione del Muro”, era l’opportunità di vedere Roma, Parigi o il Messico. Diventava come un “doppio muro”. Quando tornavamo dai viaggi, era come se qualcuno avesse spento la luce e si sentisse puzzo di piscio”.

Nessuno però, tra gli atleti, sapeva che esisteva un piano segreto per imbottirli di ormoni:

“Le pillole erano ovunque. Ci dicevano che in un Paese con poche vitamine dovevamo prendere quella roba”.

E loro ci credevano. Oggi si sa che dal 1974 al 1989 furono dopati 14mila atleti, che centinaia tra loro sono morti e che molti dei loro figli sono malati. La Geiper, che da quando sono stati aperti gli archivi della Stasi si batte a fianco delle vittime, dice che “il doping cominciava a otto, nove anni”. E’ stato grazie a lei che in Germania sono state introdotte due leggi per i risarcimenti.

Si innamorò di un atleta messicano

La storia dell’atleta è terribilmente drammatica. Racconta che nel 1984, mentre era a Los Angeles per allenarsi, si innamorò di un atleta messicano:

“La Stasi se n’è accorta e ha avviato un “processo distruttivo” contro di me. Il primo passo fu quello di cercare un uomo nella Ddr che avesse un aspetto messicano”.

L’idea era di sedurla, ma non funzionò e allora due agenti della Stasi provarono a reclutarla. Un giorno accusò dei dolori allo stomaco e andò da un medico. Che, però, ubbidiva agli ordini della Stasi. Le disse che doveva operarsi di appendicite. Non era vero: era solo un piano per annientarla.

“Volevano neutralizzarmi senza uccidermi. Scambiarono l’equipe di medici e li incaricarono di distruggermi gli addominali e di danneggiare parecchi organi interni. La mia carriera era finita. Io non intuii nulla. Seppi dopo la caduta del Muro cos’era successo. E sono viva solo perché un bravo chirurgo mi rioperò mettendomi a posto gli organi interni”.

Non ebbe alleati nella sua battaglia. Il padre, che in un primo momento aveva garantito per lei con la Stasi, la scaricò. Oggi neppure la madre le parla, perché non accetta la decisione della figlia di non vivere nella menzogna e la pressione esercitata affinché fossero resi noti i documenti della Stasi. Non tollera che la figlia sia una scrittrice e che scriva ciò che è successo, che ne parli:

“Non mi parla perché non volevo vivere nella menzogna. Perché sono una scrittrice, ne parlo e ne scrivo. Ma mi chiedo: che vita è, 50 anni di silenzio? Di impossibilità a dire la verità? Mi colpisce la sua tenace resistenza al cambiamento”.

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