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Un punto di Federer non può valere quanto un punto di Djokovic

È stata la finale più lunga di Wimbledon. Roger c’era anche nelle altre due. Ha dato più lustro al tennis Federer di quanto il tennis gliene abbia restituito

Un punto di Federer non può valere quanto un punto di Djokovic

Il lunghissimo pomeriggio di Wimbledon

Un punto non può valere solo un punto. È il pensiero che per la prima volta nella mia vita mi attraversa in questo lunghissimo pomeriggio di Wimbedon.

Perché Nole tira un servizio violento nella pancia dell’altro. Ma poi Roger accarezza uno slice di rovescio che supera di 4 dita il nastro e si appoggia su un mucchietto d’erba che non aveva mai conosciuto prima un sussulto.

Un punto non può valere solo un punto.

Perché Djoko tira da casa sua un dritto insolente che buca il campo. Ma poi dopo Federer mette un drop di dritto all’incrocio della prima riga, che Nole ci sbatte con la faccia a terra a rotolare. Con il pubblico ancora in piedi a urlare.

Dio mio. Un punto non può valere solo un punto. Perché Djokovic afferra a due mani un rovescio irriverente, furioso e vincente. Ma poi Roger danza sul suo giardino e appoggia una volée così morbida che non si trova neppure nei VHS degli Anni 80.

Oh my God! Un punto non può valere solo un punto. Perché in nessun campo del mondo, che non abbia un minimo di grazia e coscienza, ora saremmo pari 40. 

Col passare delle ore, questo pensiero nella mia testa è diventato un mantra. Perché un punto di Federer non può valere quanto un punto di Djokovic. Mai.

Neppure il tennis che è lo sport del Diavolo, affascinante e struggente per la sua spietata verità, può permettersi questa iniquità. Il Diavolo deve qualcosa al suo Dio. 

Ha dato più lustro al tennis Federer di quanto il tennis gliene abbia restituito. Perché se esistesse un coefficiente di bellezza, creatività, eleganza e soprattutto genialità per ogni singolo colpo, allora un semplice punto di Federer dovrebbe valerne almeno il doppio.

E non si tratta di semplice estetica, si badi bene, perché stiamo parlando del tennista più vincente della storia, che detiene il record di successi e Wimbledon oltre al primato degli Slam, unico ad essere arrivato a 20. Giusto per mettere un punto (che non vale un solo punto) alla retorica strumentale della presunta bellezza effimera.

Finali del mito

La finale di domenica è stata la più lunga di Wimbledon: 4 ore e 57 minuti. Terminata prima delle 5 ore solo perché è stata istituita la regola del tie-break sul 12 pari. Ma prima di questa, le due finali più lunghe sull’erba londinese dell’ultimo decennio sono state: Federer-Nadal (2008) e Federer-Roddick (2014). Ovvero: tre avversari diversi, ma un solo finalista in campo. Lapalissiano aggiungere che dove c’è Federer c’è il Mito.

Ed eccoci qua. Roger entra nel campo e brekka Nole. Un C’MON grande come un tuono parte da Londra e arriva all’Universo. Batte Federer per il match. Dopo il 15-15, The King mette due ace. 40-15, due Championship point. La gente impazzita del Centre Court alza al cielo un dito, un solo dito per urlare: “one more”! Un altro punto.

E invece no, la partita finisce lì, Roger si rifiuta, quasi si ribella. Non c’era bisogno di un altro punto, aveva già vinto. 

Perché un punto di Federer non può valere solo un punto. Il Diavolo deve ancora qualcosa al suo Dio. In questo stupido pomeriggio di Wimbledon del 14 luglio.

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