Non è una questione di moduli. Nel 4-4-2, ha segnato 6 gol nelle prime 8 giornate di campionato e 3 gol nelle prime 4 giornate di Champions. Poi è cominciato il suo periodo grigio. La risposta è nella sua testa, non nella disposizione in campo
Dieci metri avanti o più dietro
L’Insigne visto in Nazionale riapre un discorso sull’Insigne visto nel Napoli. Il primo ha segnato due gol (più un assist) nelle ultime due partite, l’altro ne ha fatto uno da metà marzo in poi. Discuterne nei termini di posizione in campo e considerare la faccenda una questione di 4-3-3 o 4-4-2 sarebbe una riduzione ai minimi termini di una faccenda più ampia.
Insigne è un calciatore con 400 partite da professionista e oltre 30 presenze in nazionale. Non possiamo parlare di lui come di una figurina che diventa più o meno brillante se sta dieci metri più avanti o più dietro, più al centro o di fianco. Faremmo un torto non solo al suo talento, che in termini concreti significa predisposizione, predisposizione al gioco, ma anche alla sua esperienza. Chi ha talento, ha mente aperta. Chi ha esperienza, quella mente aperta l’ha anche già esplorata. Credere che i due gol in nazionale siano dovuti a un modulo significa andare fuori strada scegliendo di andarci. Insigne è lo stesso calciatore che con Benitez ha imparato il sacrificio. Ha conosciuto la fatica di correre a ritroso, un impegno che è prima mentale e dopo fisico. Se ha accettato di arrivare fin sulla linea dei terzini, facendolo anche bene, allora tra una partita da seconda punta nel 4-4-2 o una da esterno sinistro nel 4-3-3 non può esistere un muro così insormontabile. Nel 4-3-1-2 che Sarri aveva in mente quando nel 2015 arrivò a Napoli, Insigne diede la sua disponibilità a fare il trequartista. Poi ha fatto il centravanti.
I ruoli non esistono
Abbiamo imparato che nel calcio di oggi i ruoli non esistono. Esistono i compiti. Quelli lungo il fronte d’attacco Insigne li conosce tutti. Sa svolgerli tutti. Possono riuscirgli bene o male. Ma non dipende dalla posizione in campo. Mertens non sarebbe diventato il centravanti che con Sarri è diventato, se nei calciatori esistessero barriere mentali e tattiche così invincibili. Insigne è solo un calciatore che ha avuto due anni in uno. Ha segnato 6 gol nelle prime 8 giornate di campionato e 3 gol nelle prime 4 giornate di Champions. Sei di questi nove gol sono stati decisivi (se cioè non fossero esistiti, il segno del risultato sarebbe stato diverso). I media raccontavano in quei giorni una metamorfosi, una maturità raggiunta giocando più vicino alla porta. Segna di più, si diceva, perché fa la seconda punta. O è vera una tesi o è vera l’altra. Oppure sono fragili entrambe. L’Insigne dei due gol in nazionale è probabilmente un calciatore uscito da un periodo grigio, una seconda parte di stagione in cui ci sono stati un paio di mesi senza continuità per un paio di squalifiche, poi problemi muscolari, un rigore sbagliato contro la Juventus, il malumore per l’insofferenza del San Paolo nei suoi riguardi, i dubbi sul suo futuro, in una matassa dentro la quale è complesso stabilire cosa sia stata causa e cosa sia stato effetto.
Si segna al volo da fuori area, su palla inattiva, indipendentemente dal fatto che sia un 4-3-3 o un 4-4-2. Non si segna al volo da fuori area se non si ha la testa per provarci. Dentro la sua testa, Insigne si sente quello che abbiamo visto tra agosto e novembre. Questo conta. Non i metri di lato, non i metri avanti o indietro.