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Niki Lauda ci ha insegnato a pilotare l’esistenza, sbandate comprese

Su Repubblica il ritratto del pilota a firma Emanuela Audisio: “Lauda dimostra che nella vita si può e si deve andare avanti e che noi siamo meglio delle nostre cicatrici”

Niki Lauda ci ha insegnato a pilotare l’esistenza, sbandate comprese

Su Repubblica un bellissimo ritratto di Niki Lauda a firma Emanuela Audisio.

“Se ne va un mostro. Sincero, coraggioso, resistente. Un pilota capace di tenere dritta la sua vita, di ascoltare il rumore e capire il guasto. Diceva che le macchine si guidano con il culo. E non era una battuta, ma un’informazione tecnica”.

Lauda, che fu divorato dal fuoco a Nürburgring, quel fuoco che gli sfigurò il volto ma che non gli toccò il carattere. Forse chiunque altro si sarebbe abbandonato alla morte, bruciato dentro dai gas inspirati. Lui no: lottò e vinse.

Aveva 27 anni quando ci fu il terribile incidente. Tornò a correre 42 giorni dopo, “con le bende che sanguinavano, con la pelle che si staccava sotto il casco, con la vista ancora annebbiata”.

E’ morto a 70. In mezzo altri due titoli mondiali, cinque figli, due trapianti di rene e uno di polmone.

Proveniva da una famiglia austriaca ricca e potente ma rifiutò qualsiasi ruolo nelle aziende dell’alta società, anzi, litigò con il nonno banchiere e si indebitò per accedere in Formula 1 con la March e poi con la Brm. A lui interessava sfondare nell’automobilismo, non voleva fare il figlio di papà.

I motori li capiva, li sentiva dentro. Diceva le cose in faccia, anche a rischio di non essere popolare. Quando arrivò alla Ferrari (la trattativa per il passaggio durò tre ore e fu incentrato sui soldi), dopo qualche giro di pista di prova, il patron Enzo gli chiese cosa pensasse della macchina. Lui rispose che era “una merda”.

Il figlio di Enzo, Pietro, non ebbe il coraggio di tradurre:

“Questo non posso dirglielo, una Ferrari non è mai una macchina di merda”.

E allora Lauda gli chiese di dirgli che il sottosterzo non andava bene. Fu chiamato l’ingegnere a modificare la macchina.

Niki non cambiò nemmeno dopo, scrive la Audisio. Nel luglio 2014 lo disse di nuovo, “Ferrari di merda”, nel luglio 2015 ancora una volta “fa solo spaghetti”. Quando era presidente non esecutivo Mercedes preferì il giovane Lewis Hamilton a Schumacher. Non risparmiò critiche feroci al team Jaguar, nel 2001 e 2002: “Macchina di merda, piloti di merda, capo di merda”. E il capo, all’epoca era proprio lui.

“Aveva il senso delle proporzioni”. Gli chiesero se quello dell’incidente fosse stato il momento più tragico della sua vita ma lui rispose di no, perché aveva riguardato solo lui. Era stato molto peggio quando nel 1991 era esploso in volo un aereo della sua compagnia, provocando 233 morti.

La Audisio lo definisce uno “tra gli ultimi cavalieri romantici della pista”: per lui le auto “dovevano essere draghi, mettere paura, sputare fuoco”.

Era riservato, non certo un tipo da social, diceva in faccia ciò che pensava, senza farsi alcun problema.

“Ci sono campioni che lasciano una scia di successi e altri che ti insegnano a pilotare l’esistenza, sbandate comprese. Lauda dimostra che nella vita si può e si deve andare avanti, che devono cambiare i traguardi e che noi siamo meglio delle nostre cicatrici”.

Lauda era considerato come un computer, per la sua freddezza, ma in realtà, scrive la Audisio, “sentiva, cercava solo di dare una forma razionale alle emozioni”.

Il computer diede cenni di essere diventato umano nel 1976, a Fuji, in Giappone. Correva sotto la tempesta per difendere il titolo, ma al secondo giro era decimo: rientrò nei box e si ritirò.

“Non riteneva la situazione del tracciato accettabile per proseguire la corsa. Perse il mondiale a favore di Hunt, quel computer era diventato umano, forse un’ombra di paura, forse non valeva la pena rischiare. Forghieri gli disse: diremo che la macchina ha avuto un guasto. «No, la decisione è mia», rispose Niki. È così che si guida la vita”.

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