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Una buona parte di Napoli non vuole diventare vincente

L’assurda paura di diventare migliori, il rigetto all’evoluzione, incatenarsi al passato alterando completamente la realtà e banalizzando ciò che di buono realmente c’è e c’è stato

Una buona parte di Napoli non vuole diventare vincente

È paradossale, a pensarci bene mostruoso, ma probabilmente la verità è che sotto sotto una buona parte di Napoli non vuole vincere, o meglio non vuole diventare vincente.

Sì, perché significherebbe cambiare, significherebbe riconoscere e avere responsabilità senza contemplare più alibi.

Vincere una tantum invece è più comodo perché hai sempre qualcuno con cui puoi prendertela, un arbitro, la Juventus, un presidente, oppure il vincente di turno come Ancelotti che diventa automaticamente una minaccia perché rappresenta ciò che non si sarà mai.

Eppure questa è la città di un detto popolare straordinario che dice: “fattelle cù chi è meglio ‘e te e fance ‘e spese”. E invece no, l’empatia scatta solo con chi è simile o peggio, “nisciuno è meglio ‘e nuje”.

L’assurda paura di diventare migliori, il rigetto all’evoluzione, incatenarsi al passato alterando completamente la realtà e banalizzando e rendendo stereotipo ciò che di buono realmente c’è e c’è stato. Un’aberrata filosofia di vita, una metastasi che attanaglia trasversalmente tutti i ceti sociali e tutti gli ambiti della società. Ma Napoli è la città più bella del mondo e male che vada ci si può sempre fare un grande bidè a mano sguarrata.

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