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Il centravanti secondo Ancelotti

Da Crespo a Lewandowski, passando per Shevchenko, Drogba e Cristiano Ronaldo: Ancelotti ha costruito le sue squadre su grandi attaccanti, e su una percezione elastica del ruolo.

Il centravanti secondo Ancelotti

I migliori

L’atlante storico-geografico degli attaccanti allenati da Carlo Ancelotti si nutre di nomi di altissimo livello. Negli ultimi vent’anni, probabilmente, nessun tecnico ha potuto lavorare con una quantità così grande di fenomeni del gol. Se volessimo fare un censimento veloce, scegliendone giusto uno per squadra allenata, potremmo citare: Crespo, Trezeguet, Shevchenko, Drogba, Ibrahimovic, Cristiano Ronaldo e Lewandowski. È un elenco necessariamente ridotto, e che non contempla calciatori “ibridi” come ad esempio Del Piero, Kakà, Robben, fenomeni offensivi non “baciati” dal ruolo di prima punta. Per ragioni di spazio, abbiamo escluso gente come Chiesa (padre), Inzaghi, Gilardino, Fernando Torres, Morata, Benzema. Insomma, un’altra discreta batteria di campioni.

La lettura non è unitaria, nel senso che non è possibile individuare un “centravanti di Ancelotti” in senso univoco. Troppo vasto e vario l’elenco di calciatori, troppa differenza nelle caratteristiche. Di contro, è possibile individuare alcuni parametri di riferimento. Ancelotti preferisce affidarsi a prime punte prestanti fisicamente, ma con un occhio sempre attento alla qualità tecnica. Inoltre, è un allenatore che lavora su sé stesso e sui calciatori. Basti pensare alla trasformazione di Benzema in uomo di raccordo per esaltare la finalizzazione di Ronaldo.

Un ruolo che cambia

Esattamente come per l’intera concezione del gioco, Ancelotti col tempo ha cambiato le preferenze in materia di attaccanti. O meglio: ha sempre cercato di adattare sé stesso e il proprio calcio alle trasformazioni del gioco e alle qualità della sua rosa, e in quest’ottica è significativa una sua dichiarazione su Cristiano Ronaldo.

È uno dei migliori di sempre, il miglior attaccante della storia del calcio. Non ho mai allenato un giocatore migliore di lui. A Ronaldo non piace giocare con le spalle alla porta, preferisce trovare spazio sulle fasce e attaccare. Con me la squadra giocava con il 4-3-3 e Cristiano partiva dalla fascia sinistra, ma abbiamo capito presto che a lui serve più libertà, libertà di coprire di più il campo e di andare dove si svolge l’azione. Deve avere libertà assoluta, ed è una cosa positiva perché diventa ancora più imprevedibile. Lui deve sentire di essere totalmente libero in ogni parte del campo.

Sembra una lettura semplice, soprattutto oggi che Ronaldo si è trasformato in un centravanti “puro”, per quanto con caratteristiche particolari. In realtà si è trattata di un’intuizione del tecnico di Reggiolo che per CR7 rispolverò una dinamica tattica già adoperata da Ferguson a Manchester. Ovvero interpretare Ronaldo come terminale offensivo, mettendogli accanto Benzema, Bale e Di Maria negli slot che allo United furono di Tevez, Rooney, Nani. Insomma, un tourbillon offensivo in grado di esaltare le qualità superiori di un attaccante sfruttando quelle di un altro uomo. Elasticità, adattabilità dei concetti alle situazioni. Era già successo lungo l’intero arco della sua carriera.

Due punte, poi l’albero di Natale

Il primo “centravanti” della carriera di Ancelotti è Hernan Crespo, al Parma. Arrivò a 21 anni dal River Plate dopo aver vinto tre campionati consecutivi e una Coppa Libertadores. Un rapace d’area di rigore, una sintesi preventiva tra gli attaccanti “specialisti” anni Novanta e i centravanti tecnici che siamo abituati a vedere oggi sui campi di calcio. A Torino, nell’esperienza successiva, Ancelotti avrà a che fare con Zidane e Del Piero come intoccabile (o quasi) reparto fantasia, ai quali accoppierà uno tra Inzaghi, Kovacevic e Trezeguet. Tre attaccanti dalle caratteristiche diverse, eppure accomunati da una scarsa, anzi scarsissima partecipazione al gioco.

Una situazione differente rispetto a quanto vissuto al Milan, un’esperienza lunghissima legata ad un nome su tutti: Andriy Shevchenko. Possiamo considerare l’ucraino come un altro calciatore dal portfolio moderno, in grado di interpretare il ruolo da prima punta secondo specifiche tecniche e fisiche non comuni, associative pur in un contesto tattico ancora lontano da quello moderno. Shevchenko è stato utilizzato come unico terminale offensivo, come uomo di raccordo accanto a Inzaghi o a Crespo, sempre in base alle contingenze. Prima dell’esplosione di Kakà, Ancelotti preferiva un sistema a due punte, con il famoso “numero dieci” alle spalle di due elementi dalle caratteristiche equilibrate. Dopo la rivelazione del fantasista brasiliano, il tecnico di Reggiolo ha saputo mutare questo assetto, spesso in rotta con le indicazioni societarie, sposando un modulo ad albero di Natale che esaltava la qualità del centrocampo, lasciava libertà a Kakà e traeva il meglio dall’opportunismo degli attaccanti.

È il sistema che è sopravvissuto anche a Shevchenko, che ha portato Inzaghi alla vittoria di Atene 2007, che ha consacrato i primi approcci di Pato al grande calcio, che ha consolidato Gilardino nel gotha degli attaccanti italiani.

Rinfrescarsi la memoria

Un uomo solo al comando

Le due esperienze successive si basano sulla presenza totalizzante di due attaccanti centrali, di riferimento, totem tecnici ed emotivi al Chelsea e al Psg. Parliamo, ovviamente, di Didier Drogba e Zlatan Ibrahimovic. Due calciatori franchigia, ma anche due esponenti della corrente moderna del centravanti.

Questo è un punto importante, nella carriera di Ancelotti – soprattutto in relazione al possibile rapporto con Milik e Mertens, al Napoli. La prima punta, nell’idea di calcio del tecnico emiliano, si caratterizza sempre in un certo modo, almeno dal punto di vista fisico. Per dirla semplice: mai, prima di oggi, Ancelotti ha costruito la sua squadra senza un elemento di grande prestanza atletica in avanti; che può essere tendenzialmente statico (come Ibrahimovic), ma anche in grado di muoversi con intelligenza su tutto il fronte (Ronaldo, lo stesso Drogba, Benzema, Lewandowski).

Manca ancora la carta dell’attaccante “piccolo”, del riferimento puramente tecnico, del Mertens della situazione. È un’indicazione importante: Ancelotti potrebbe essere stimolato da questa nuova “avventura”, ma potrebbe anche decidere di rifiutarla a priori. Eleggendo Milik a prima punta titolare, nelle gerarchie per l’undici titolare come nell’idea di costruzione della squadra. Il polacco ha caratteristiche più vicine all’idealtipo di centravanti secondo Carletto: fisica, buona tecnica e capacità associativa.

Ronaldo e Lewandowski

Siamo ormai arrivati alla fine del percorso, ai giorni nostri. Nella nostra guida al Napoli di Ancelotti, Alessandro Cappelli ha spiegato come Carlo ha lavorato al Real Madrid:

Al suo arrivo in Spagna, Ancelotti aveva provato a costruire una squadra orientata sul possesso palla, per organizzarsi e disorganizzare. A stagione in corso ha dovuto cambiare qualcosa: aveva capito di avere a disposizione un parco attaccanti innamorato delle corse in campo aperto (Bale, Di Maria, Cristiano Ronaldo su tutti).

Da qui nasce la doppia conversione: Ronaldo centravanti senza riferimenti, Benzema uomo di raccordo e creatore di spazi, per alternare gli attacchi in transizione al gioco di posizione. Una situazione che non poteva essere ripetuta al Bayern, per via della presenza totalizzante di Robert Lewandowski, e per le caratteristiche particolari degli esterni offensivi a disposizione (Ribery, Robben e Douglas Costa, oltre a Muller). E allora nuovo cambio di rotta, con il polacco come cuneo centrale e un sistema misto di sovrapposizioni e triangolazioni intorno a lui. Nella stagione vissuta insieme, 2016/2017, 47 partite e 43 gol per Lewandowski in tutte le competizioni. Niente male.

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