Il matrimonio Klopp-Liverpool è stato fondato su una perfetta armonia tra contesto, opportunità economiche e rivoluzione tattica. I risultati di oggi sono frutto di un lavoro lungo ma condiviso.
La scelta e le attese
Jurgen Klopp è arrivato al Liverpool durante la stagione 2015/2016. I Reds stavano vivendo una stagione difficile, la terza dell’era-Rodgers. Dopo il titolo sfiorato nel 2014, il manager nordirlandese aveva smarrito il senso e le chiavi del suo progetto, inoltre aveva dovuto rinunciare, nel giro di un anno, a Suarez (ceduto al Barcellona) e Gerrard (trasferitosi negli Stati Uniti).
Il matrimonio tra il tecnico tedesco e il club di Anfield era un incastro perfetto: una squadra da rifondare completamente, il fascino infinito della storia, grandi possibilità economiche e la voglia di un leader in grado di ripercorrere il percorso a tappe di Rafa Benitez. Che, non a caso, veniva spesso invocato dai sostenitori della Kop come unico, possibile restauratore dell’antica nobiltà Reds.
Klopp-Liverpool è la storia di un amore che ha saputo rinnovarsi dopo le suggestioni iniziali. Ovvero: c’è stata una scelta condivisa, è stato impostato e portato avanti un lavoro a lungo termine. Oggi, solo oggi, il Liverpool sta raccogliendo davvero i frutti della sua semina. Al di là della finale di Europa League raggiunta pochi mesi dopo il suo arrivo (sconfitta contro il Siviglia), prima dell’incredibile successo di ieri sera, Klopp ha messo insieme un ottavo e un quarto posto in Premier; un’eliminazione in semifinale in Coppa di Lega. Stop, basta, fine delle trasmissioni.
L’allineamento dei pianeti
La prima qualificazione in Champions, ottenuta al termine dello scorso campionato, era stata vista e forse anche vissuta come la massima aspirazione possibile per il Liverpool. Solo che, nel frattempo, il progetto-Klopp è entrato nel vivo: ha sfruttato le potenzialità economiche del Liverpool per acquistare i calciatori giusti, ha aggiunto i vari Oxlade-Chamberlain, Mané, Firmino, Salah ad un organico di medio-alto livello. Ha modellato il sistema di gioco in base alle caratteristiche dei giocatori, scelti in base all’adattabilità di certi principi. Ha fatto calcio, insomma. Come si dovrebbe fare ovunque ci siano grandi mezzi, grande storia, quindi grandi possibilità. Ha lavorato sull’allineamento dei pianeti, anziché aspettare che avvenisse. Sono stati bravi, e fortunati.
Lo dicono i risultati di una stagione finora eccellente: terzo posto in Premier a 67 punti, una voragine di dieci punti dal Chelsea quinto; e una Champions mostruosa, senza sconfitte fin dai preliminari. Con la perla finale del doppio confronto col Manchester City, battuto anche in campionato. La sfida contro Guardiola ha portato ad una riflessione sul guardiolismo che però non è altro che un’alternativa progettuale a quella di Klopp. Più ricca, perché il City è più ricco. Diversamente tattica, perché Klopp e Guardiola hanno idee calcistiche molto diverse. Il background economico-sportivo, però, è quello.
Il campo
La partita d’andata, più che quella “fuori contesto” di ieri sera, serve a far capire la distanza che esiste tra il manager tedesco e quello catalano. Il primo si è sempre autoproclamato leader del partito “Calcio Heavy Metal”, ovvero un modello di gioco basato sul primato del pressing e dell’imposizione di ritmi altissimi, che prescindono dal controllo del pallone. Il Borussia Dortmund di Klopp ha rappresentato la Mecca del Gegenpressing, una strategia tattica fondata sul recupero del pallone con tanti giocatori e sulla velocità delle transizioni.
Non a caso, torniamo al punto di sopra: Mané, Salah e Firmino sono tre attaccanti rapidi, bravissimi a giocare in verticale, a risolvere l’azione con pochi tocchi. Sono tre esemplari perfetti per un calcio ad alta velocità e intensità, che non crea le suggestioni triangolari del gioco di posizione (quello di Guardiola, per intenderci), ma preferisce un rapporto più diretto con gli spazi e la palla. Che è diventato parte del dna calcistico della Germania, dopo i successi di Klopp in Bundesliga e in Europa, con il Borussia.
L’importanza del contesto
Quindi, si può parlare tranquillamente di kloppismo. Di un certo modo di fare calcio (in campo) dialogando in maniera armonica con la società. Si era visto a Dortmund, anche lì i risultati furono decisamente accettabili (per usare un eufemismo). Si sta vedendo ora a Liverpool, dove l’intero contesto è favorevole a questo tipo di lavoro a lungo termine.
Basti pensare all’acquisto di Van Dijk a gennaio scorso. Per 84,5 milioni di euro. Una situazione semplice, spiegata in maniera chiara da Calcio&Finanza: « I grandi club sempre più decidono di spendere 75 milioni su un giocatore anziché 25 su 3 diversi pensando di andare su un calciatore sicuro. Non sono valutazioni sempre giustificate dalle prestazioni, ma chiare nella loro semplicità: un calciatore viene valutato, gli viene data fiducia e viene messo nelle condizioni di dare il massimo. Il resto fa parte dell’imponderabilità dei risultati. Che non va di pari passo con la capacità di un club di generare certi ricavi».
Ecco, appunto. L’imponderabilità dei risultati, ora, sorride al Liverpool. Grazie al trasferimento di Van Dijk, e ad altre operazioni condotte con gli stessi criteri. Salah, Mané, e tutti i calciatori che ora sono perfettamente integrati nel gioco di Klopp. Che è il garante tecnico di questo progetto, è il simbolo di un’idea di base che si sta evolvendo in una costruzione di grande livello. Finora, vale una semifinale di Champions, ottenuta battendo due volte il Manchester City. Incredibile, forse. Tranne per chi aveva creduto in questo progetto. A Liverpool e dentro il Liverpool erano in tanti, evidentemente. A volte può bastare.