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SportWeek: “Sarri entrerà nel club dei grandi allenatori anche se comunica male?”

L’inserto settimanale della Gazzetta sottolinea che oggi la comunicazione è un requisito indispensabile per essere considerato un top della panchina

SportWeek: “Sarri entrerà nel club dei grandi allenatori anche se comunica male?”
Sarri (Photo Matteo Ciambelli )

I tre requisiti

“Come si entra nel club dei big?”. Si intitola così un articolo di SportWeek il supplemento della Gazzetta dello Sport. Il concetto chiave del servizio è che oggi per entrare nel circolo degli allenatori delle grandi squadre servono tre requisiti: essere vincenti, fare giocare bene le proprie squadre e saper comunicare.

Ecco cosa scrive Sebastiano Vernazza:

Negli ultimi anni si è aggiunto un terzo elemento: la comunicazione. Nell’era dei social network e di spogliatoi “abitati” da giocatori che fatturano come aziende, l’allenatore perfetto deve declinare risultati, estetica del giro-palla e capacità di relazione con il mondo esterno e con i propri calciatori. Il lavoro è diventato complesso, i tempi del mestiere si sono allungati oltre il campo e gli allenamenti.

Al momento, in testa a questa graduatoria c’è Pep Guardiola tecnico del Manchester City, padre del tiki taka e grande comunicatore. Il bel gioco è invece il tallone d’achille di José Mourinho che “sull’altra riva di Manchester, vacilla. Il bel gioco non è mai stato il pezzo forte dello Special One, uomo concreto, di risultati, e geniale surfista di microfoni.Qualcosa però sembra essersi interrotto, Mou non vince più come prima e se non vinci, il resto da solo può non bastare”.

Sarri

Il nostro Sarri

La conclusione dell’articolo è dedicata a Maurizio Sarri.

Su questo confine si snoderà il destino di Maurizio Sarri, il caso più interessante del nostro cortile. Sarri non ha ancora vinto nulla e comunica male, però il Napoli gioca benissimo e i tifosi perdonano tutto all’allenatore, sulla fiducia. A maggio si tireranno le somme e a Sarri auguriamo di vincere lo scudetto e/o l’Europa League: le rivoluzioni a perdere non piacciono ai contemporanei, ma soltanto ai posteri e neppure a tutti.

 

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