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Si lamenta Sor Tuta. Si lamenta di tutto

Il gordo Jago si nutre vorace e instancabile dell’odio dei suoi ammiratori traditi. Mentre i Suninter si prendono la vetta

Si lamenta Sor Tuta. Si lamenta di tutto

Falli da dietro – Commento alla 15esima giornata del campionato

Il calcio è un miracolo.

All’ora del ragù ritroviamo un Ringhio più panzuto delle attese.

È chiamato a cancellare in un attimo tutti gli scetticismi sui conti tuttora misteriosi di una proprietà tuttora fantasma.

E magari restituire uno straccio di gioco a una squadra che alla fine è pur costata 250 sacchi.

Buon per lui che il debutto si consumi al Vigorito sempre in festa, sebbene i locali siano al record mondiale negativo. Quattordici partite quattordici sconfitte.

Diventeranno quindici fra pochi secondi.

Ma il calcio è un miracolo.

Sognava di essere Pantani

Ultima punizione. Tutti nell’area del Topo di Stabia.

Arriva ciondolando a completare il gruppone anche Alberto Brignoli, portiere bergamasco ventiseienne, che sognava di essere Pantani.

È la sua maglia verde che vola più alta di tutti.
Vola Brignoli non a salvare, ma a fare goal. E a riscattare le tante partite perse al 90′ in maniera immeritata.

È proprio il Benevento dei record. Il goal del primo punto in serie A lo segna un portiere.

Una favola che rimarrà nella storia del calcio sannita.

Però, benedetto De Zerbi. L’unico che segna lo metti in porta?

Il calcio. Mistero senza fine bello.

Torna il buonumore.

L’odio e i muscoli

Il ragù messo a pippiare la sera del venerdì – in ossequio al protocollo – aveva assorbito i malumori di quella giornataccia tutta storta.
E non se ne voleva scendere.

Ora l’oro di palissandro (come voleva Eduardo) riceve i mille complimenti che merita. E torna a essere il protagonista della domenica.

Ma che calcio è il calcio di venerdì?

Il Gordo Jago sembra figlio della fantasia del David Lynch fantascientifico.

Si nutre vorace e instancabile dell’odio dei suoi ammiratori traditi.

Di quell’elemento fa il pieno.

Più cresce l’odio più i suoi muscoli si gonfiano.

È un Hulk che assorbe i raggi gamma e si trasforma in mostro invincibile.
È un Popeye che trangugia barattoli di spinaci.

Al 12° aggredisce lo spazio di sinistra lasciato sguarnito dal Barilotto lusitano e dall’Imperatore nero. E infila il Pepelato poco attento sul palo.

Poco male, dicono sugli spalti. In 80 minuti c’è tutto il tempo per rimediare.

Ma gli elfi dei boschi e dei torrenti sono stanchi.

Corrono da agosto in giro per l’Europa.
Hanno schiantato i nizzardi, hanno violato per due volte l’Olimpico. Hanno espugnato il Dall’Ara, Marassi e il Dacia.

Sono stanchi.

Cercano un albero fronzuto dove nascondersi ad ascoltare il silenzio delle mele.
Cercano un prato in riva al lago dove stendersi, braccia dietro la nuca e occhi a guardare il cielo.

Mica per molto. Giusto il tempo che la nuvola apparsa a levante attraversi la volta, dopo aver cambiato mille forme, e sparisca dalla parte opposta.

Sono stanchi.

Il fraseggio, il triangolo stretto, è tuttora perfetto.
Ma senza il guizzo, tutto è prevedibile e il possesso diventa inutile onanismo.

Il lamento di Sor Tuta

Si lamenta Sor Tuta. Si lamenta di tutto.

Dei terreni di gioco che hanno retrocesso l’Italia ai livelli di oggi.

Del dover giocare ogni tre giorni.
Non è calcio per lui. È un altro sport.

Si lamenta e scaccola Sor Tuta.

Per il colore delle maglie che non è più quello di una volta.

Tutti d’accordo. Siamo tutti nostalgici delle vecche divise di lanetta con numerazione da 1 a 11.
Del maglione nero del portiere.
Della formazione letta con l’ opportuna pausa dopo i due terzini, dopo i tre mediani e poi tutto d’un fiato a enunciare i cinque attaccanti.
Siamo tutti nostalgici di quando una fuga dell’ala verso la porta avversaria era una “discesa” e non una “salita” come si ama dire oggi.

Si lamenta l’amato Sor Tuta per il Pibe tornato dalla nazionale col pube infiammato.
Dichiarazione in sé abbastanza inquietante.

Alla quale signore e signorine rispondono con un casto “Oh!”, portando immediatamente ambo le mani alla bocca.

Perdere dopo nove mesi non è la fine del mondo.

Non lo è perdere contro una grande squadra.
Non lo è perché c’è tutto il tempo per ripartire.

Purché si offrano concreti rimedi al previsto calo degli elfi.

Purché adesso si trovino soluzioni per ricostruire la catena di sinistra, o un marchingegno utile per trovare da qualche parte un’imbucata.

Suninter, calcio d’antan

Intanto i Suninter si prendono la vetta.

Strana squadra. Che sembra emergere da un lontano passato.

Due ali pure instancabili sulla fascia a crossare per un centravanti che più centravanti non si può.
Forte di testa e con un fiuto del gol da grande bomber.

E poi una difesa solida, un regista classico, due incontristi di buona qualità a centrocampo.

E come se il Parapet fosse ripartito dall’essenza del calcio d’antan, lasciando perdere tutti i tatticismi “new age” e puntando al sodo.

Domenica la sfida della verità.

Da una parte i cinesi di Milano.

In salute smagliante. Hanno fatto il pieno di autostima, grazie anche ad episodi fortunati, nella prima parte del campionato. Ormai sono forti davvero e hanno un assetto collaudato e solidissimo.

Dall’altra parte gli ergastolani.

L’esatto contrario, dove nulla è chiaro.
Acciughina continua a cambiare schemi su schemi, a provarle tutte.

Al San Paolo ha tirato fuori dal cassone Matuidi e Douglas Costa, risultando i migliori in campo.

Ma la squadra resta un’incognita.

Insomma la più scarna semplicità degli schemi contro il più barocco dei misteri calcistici.

Ed in mezzo il viaggio in Grecia che potrebbe pesare, eccome.

Chi c’è dietro i cinesi

Sono stato lungo.

Solo un rigo per segnalare l’impresa di Inzaghi a Marassi, che è tanta, tanta roba buona.

Solo un rigo ancora sulla favola di Benevento.

Ma vuoi vedere che dietro la proprietà cinese c’è Mastella?

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