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Dhorasoo: «I calciatori non hanno potere, nemmeno Ibrahimovic che guadagna 20 milioni»

Interessante intervista a Repubblica all’ex calciatore del Milan: «Oggi la sinistra non più sognare, al Milan leggevo Repubblica di nascosto»

Dhorasoo: «I calciatori non hanno potere, nemmeno Ibrahimovic che guadagna 20 milioni»

Gran bella intervista di Repubblica a Vikash Dhorasoo, francese, ex calciatore del Milan, che ha appena scritto il libro “Comme ses pieds” una autobiografia. È un personaggio, girò un film su sé stesso ai Mondiali del 2006, ha fatto il giocatore di poker professionista e ora ha creato un’associazione per «pensare un nuovo calcio e ridare il gioco ai ragazzi»

Diversi i passaggi interessanti dell’intervista. Abbiamo scelto questi.

Il calcio è anche un’industria.

«È il riflesso della società che chiede di essere efficienti, produttivi. Ora non si contano più solo i gol, ma i passaggi che fai, i chilometri che percorri. Cifre, come in finanza».

Il gigantismo finanziario del calcio è lontano dalle sue idee.

«Una contraddizione di cui sono pienamente cosciente. Era il mio lavoro, ero pronto a tutto. Anche perché, se l’ambiente è di destra, il calcio in sé è di sinistra. È di sinistra passare la palla all’altro. O passi o tiri, non ci sono molte soluzioni. E se tiri c’è qualcuno che ti ha dato la palla».

Si guadagnano cifre folli che aumentano le differenze sociali.
«Tuttavia siamo dei salariati. Pagati da gente che ha potere mentre noi non siamo niente. Ibrahimovic può prendere anche 20 milioni al mese ma non è nessuno. Quando giocavo credevo di essere importante. Ho capito a fine carriera. Volevo acquistare il mio primo club, il Le Havre, e mi hanno riso in faccia. Quelli che contano sono i signori incravattati, i notabili che stanno su in tribuna. Loro muovono i fili. Noi atleti siamo di passaggio».

Dice di votare a sinistra perché è un utopista.
«Essere utopisti significa essere realisti. Perché le cose che fai per raggiungere l’utopia sono concrete. Posso essere contro la guerra e quello è l’obiettivo, ma magari per raggiungerlo bisogna farla una guerra. Il vero peccato è che la sinistra oggi non fa più sognare».

Con queste idee non era a disagio nel Milan di Berlusconi?
«Appena imparato l’italiano ho cominciato a comprare Repubblica. Nello, il fisioterapista, che mi voleva bene, mi ha avvertito: guarda che qui è la destra, fai attenzione perché quello ti schiaccia (“ti schiaccia”, lo dice in italiano, ndr). Così prendevo il giornale e lo leggevo in camera, la numero 10 di Milanello. Forse non sono stato coraggioso come sarebbe stato necessario, ma nella stanza consumavo la mia forma di resistenza. Quanto a Berlusconi una volta, dopo una buona partita, mi chiamò “grande campione”. Mi sentivo fiero che riconoscesse il lavoro ben fatto. Sapeva incantare, raccontava barzellette, capisco che si possa essere sedotti da un uomo così. Non io. Sono saldo nei miei valori e nelle mie convinzioni».

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