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Il Pd di Napoli: dieci anni di un partito kamikaze

Da Veltroni che lasciò Bassolino sotto il palco, alle primarie dei cinesi, lo scontro tra don Antonio e la “figlia” Valente, fino al doppio – invisibile – congresso di stasera

Il Pd di Napoli: dieci anni di un partito kamikaze

La prima bomba la lanciò Veltroni

…Ma passanno quaccheduno votta ‘na bomba e se ne va…

La citazione è un oltraggio al Poeta, ma rende l’idea di questo Pd napoletan-campano ormai vittima di sé stesso e dei vari kamikaze che con cadenza sistematica ed effetti devastanti, lo hanno fatto saltare in aria prima di andare (o scappare) altrove.

Batte lentamente con monotono languore la storia locale di un partito che, nato sulle ceneri della parte nobile della Democrazia Cristiana e di quella democratica del Partito Comunista Italiano, è finito in cenere, ostaggio di agguati che hanno procurato emorragie di credibilità e di consenso.

La prima bomba la lanciò addirittura il padre fondatore. Era l’aprile 2008. Walter Veltroni arrivò a Napoli per il comizio di chiusura delle elezioni politiche (che avrebbe perso contro Berlusconi), e “impedì” ad Antonio Bassolino di salire sul palco a piazza del Plebiscito. Una deflagrazione che fece saltare in aria l’allora presidente delle Regione ed indiscusso leader del Pd campano accusato di essere il responsabile unico dell’emergenza rifiuti che aveva seppellito Napoli e il neonato partito anche a livello nazionale. Fiumi di parole e di inchiostro per marchiare Bassolino e il Pd come responsabili dell’emergenza rifiuti in Campania e quindi colpevoli della sconfitta nazionale del partito (a vocazione maggioritaria) che, appena pochi mesi prima, aveva salutato anche Ciriaco De Mita, cofondatore locale dei democrat andando via sbattendo la porta (ma senza usare bombe), scegliendo altri lidi e sigle per tentare l’elezione al Parlamento.

Il kamikaze Veltroni, avvinto dai tormenti (e abbindolato da D’Alema), dopo pochi mesi abbandonò la segreteria del Pd promettendo un trasferimento in Africa e giurando che mai più sarebbe rientrato in politica.

Le primarie dei cinesi

Altra bomba, altre primarie. Era il gennaio 2011. Nicola Tremante, segretario provinciale Pd, avvocato con la passione della politica, osò prima contestare e quindi annullare quelle che passeranno alla storia come le “primarie dei cinesi”. L’outsider Andrea Cozzolino vince sul favorito del partito Umberto Ranieri e relega in un angolo Nicola Oddati, anch’egli in lizza per la candidatura a sindaco di Napoli, ma con scarsi risultati malgrado l’intuizione (o presagio) di stampare manifesti in cinese.

Tra corsi e ricorsi in tribunale, bomba o non bomba il PD arriva sempre nelle aule di giustizia, anatemi di Saviano, alla fine Roma decide di paracadutare in loco un candidato semisconosciuto (giuro che non riesco a ricordare il nome del Carneade) che non riesce a superare il primo turno elettorale alle amministrative. De Magistris sta ancora ringraziando. Il kamikaze Tremante esce dal Pd facendo perdere le sue tracce nell’arena della politica.

La figlia contro il padre

Altre primarie, altra bomba. È il marzo 2017. Stavolta bisognerà prendersi una rivincita su De Magistris ed il suo movimento e scegliere un candidato a sindaco per rimediare alla figuraccia di quattro anni prima.

Stavolta il kamikaze è Antonio Bassolino che fa saltare il banco delle primarie e quel che resta del Pd napoletan-campano. Prima della deflagrazione si consuma una sfida dal sapore edipico. La figlia che, con la benedizione di Renzi il rottamatore, vuole rottamare il “padre” politico.

Finisce a monete di due euro in faccia.

Il candidato che fu sindaco di Napoli e presidente della Regione, complice un filmato di Fanpage, denuncia brogli e sconquassa il partito che gli risponde con un oltraggio peggiore di quello che si consumò al Plebiscito nove anni prima: l’ignavia. Il finale è noto e getta un’ulteriore responsabilità politica sui democrat. Anche stavolta il Pd non arriva neanche al ballottaggio e, senza combattere per assenza di liste e candidati, riconsegna la città alla rivoluzione imborghesita. Bassolino è partito per altri lidi e sigle per tentare l’elezione in Parlamento.

L’ultimo atto

Altra bomba, altre primarie. Oggi, novembre 2017. Bisogna scegliere un nuovo segretario provinciale attraverso primarie-congresso. L’occasione è di quelle che promettono scintille, com’è naturale che sia durante un confronto politico interno al partito. Ma, quando si tratta di Pd, le scintille non generano idee o contenuti, solo esplosioni. L’innesco lo prepara il presidente della Regione Vincenzo De Luca, animato da spirito revanscista dopo che dal vertice di Santa Lucia ha assistito a ben due débâcle: il referendum e l’elezione del sindaco di Napoli.

Il presidente fa un accordo con Renzi, scavalcando tutto il Pd napoletan-campano, per lanciare la candidatura dell’unico renziano della prima ora che vive in Campania, un giovane che si chiama Pasquale Granata. La benedizione di Roma stavolta si perde nelle maledizioni dei ras locali. De Luca si ritrova col cerino in mano perché il duo Topo-Casillo sventola il vessillo dell’identità napoletana, sovente mortificata dalle scelte del Governatore, e presenta un candidato (giuro che non riesco a ricordare il nome del Carneade) che ha i numeri per stravincere.

Di fronte all’ennesima sconfitta, De Luca prima si dichiara estraneo alla lotta e poi “arma” il kamikaze Nicola Oddati, di origini salernitane. Uno che ha vissuto solo delusioni e sconfitte dalla nascita del PD e che aveva recentemente cercato un vano riscatto alle primarie per l’elezione del sindaco di Battipaglia. Nella sua terra d’origine arriva terzo tra i tre concorrenti democrat.

Stavolta Oddati, mostrandosi ai media come il nuovo che vince, neanche scende in campo, dichiarandosi candidato-non candidato. Chiaro come un ideogramma cinese per un cittadino napoletano medio.

Oggi, 23 novembre 2017 si celebrano due congressi del Pd: uno ufficiale (metropolitano), e l’altro in un teatro (piccolo). Tanto per cambiare l’un contro l’altro armati come in una qualsiasi guerra camorristica. Se oggi sentite una scossetta, non è il sisma che celebra sé stesso, ma il Pd che deflagra autocommemorandosi con l’ennesima bomba. Sarà l’ultima?

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