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Chiamatemi fascista, ma ho nostalgia della legge Reale

Da Ostia a quelli che impediscono a D’Alema e a Camusso di parlare. Vorremo meno solidarietà da clic e una legislazione vecchio stile

Chiamatemi fascista, ma ho nostalgia della legge Reale
La testata di Roberto Spada al giornalista Piervincenzi

Per noi la Digos era metà Stasi e metà Cia

Noi che muoviamo ancora il culo sulla sedia quando ci capita di sentire alla radio “You should be dancing”. Noi che abbiamo vissuto gli anni di piombo da ragazzi, troppo giovani per fare politica seria e sufficientemente grandi per finire vittima di un agguato nero, rosso o per essere inseguiti dalla celere un giorno che avevi fatto filone a scuola. Noi che la Digos pensavamo fosse una sorta di polizia segreta, metà Stasi e metà Cia, che tutto vedeva e tutto sapeva. Noi stiamo vivendo con un certo fastidio, dovuto non solo all’acidità dell’età che avanza, della solidarietà che scatta a botta di clic.

Impedire a D’Alema e a Camusso di parlare

Sì perché il filmato del giornalista preso a capate in faccia ci ha impressionato un po’ come tutti quelli che lo hanno condiviso sui social. Così come ci ha lasciati esterrefatti lo stesso fascista che prende a manganellate l’operatore. Abbiamo condiviso la memoria dei manganelli, ancora neri protagonisti nel primo ventennio di questo nuovo secolo. Noi siamo anche rimasti basiti per il fatto che i centri sociali napoletani sono “intervenuti” al dibattito di D’alema e della Camusso all’Università Federico II impedendo alla segretaria Cgil di esprimere il proprio pensiero o punto di vista.

A giudicare dai graffiti che ritraggono il mitico “Che” e dagli slogan che scrivono sopra i muri, questi “universitari” sono nipoti, eredi anche per questione di dna, degli stessi che cacciarono il partigiano Lama, anch’egli segretario CGIL, dall’ateneo romano La Sapienza. Altro secolo, stessi slogan e atteggiamenti. Sono gli stessi che qui a Napoli o in altre città scendono in piazza e sfilano in strada per impedire ad un premier o ad un leader politico di godere dell’ospitalità che non si nega proprio a nessuno.

Sono gli stessi che qui a Napoli o in altre città scendono in piazza e sfilano in strada per impedire ad un premier o ad un leader politico “nemico” di tenere conferenze o partecipare ad iniziative di partito, quasi fossero i nonni rivoluzionari che a Valle Giulia (quarant’anni fa il prossimo anno) anziché scappare disordinatamente contrattaccarono i poliziotti entrando nella “leggenda” come quelli che conquistarono il Palazzo d’Inverno. Altro secolo stessa gente e stesse falsità, solo che oggi si chiamano fake news.

Noi che ancora ci meravigliamo

Noi che ancora ci meravigliamo se dentro e fuori uno stadio tutto venga concesso alle bande armate nel nome di una fede per un colore di maglia. Noi ci siamo rotti, quanto e più del naso del cronista, di questa solidarietà a giorni e colori alterni. Una solidarietà pieno di distinguo che può ancora agire da elemento di pressione per indurre all’arresto riparatore la magistratura “creativa”, ma che esalta solo l’attuale disarmo dello Stato democratico di fronte alle aggressioni delle minoranze rumorose e socialmente organizzate. Serve altro.

Negli anni di piombo c’era la Legge Reale. L’estensore della vituperatissima norma, che di nome si chiamava Oronzo, era un repubblicano guardasigilli di un governo presieduto da Aldo Moro, il quale battezzò questa legge che, ad un certo punto, fu anche oggetto di un referendum abrogativo per la gioia, come si disse a quel tempo, di fascisti brigatisti e mafiosi. Insomma, di inasprire di nuovo questa legge Reale se ne parlò al tempo di Maroni e Berlusconi, ma non se ne fece niente.

Questa democrazia del clic la vorremmo meno ipocrita

Noi che abbiamo visto tanti arrabbiati con l’eskimo o con i giubbotti di pelle nera passare al doppiopetto, vorremmo Realisticamente che questa democrazia del clic fosse resa un po’ più vera e meno ipocrita attraverso un pizzico di sana intolleranza dello Stato democratico. I reati “politici” dovrebbero essere puniti seriamente, a prescindere dal “colore” degli autori e dal “tifo” dei social. A voler sintetizzare giornalisticamente il concetto, occorrerebbe una Spada Reale che combatta questi rigurgiti di antidemocrazia.

E ora chiamatemi pure fascista, lo hanno già fatto, solo perché mi rompevo di partecipare alle assemblee liceali e preferivo andare in discoteca per ballare al ritmo dei Bee Gees.

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