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Guardiola ha cambiato il calcio ma ha saputo cambiare anche sé stesso

La squadra costruita da Guardiola ha dei principi di gioco simili a quelli del Barcellona (e del Napoli), ma è anche un adattamento al contesto.

Guardiola ha cambiato il calcio ma ha saputo cambiare anche sé stesso

La retorica degli -ismi

La retorica che accompagna da giorni la partita tra Manchester City e Napoli è quella degli -ismi, e non potrebbe essere altrimenti. Difficile trovare, nel panorama europeo, due squadre così fortemente legate al loro allenatore-brand. Ecco, ci vengono in mente il Lilla di Bielsa, il Nantes di Ranieri, il Manchester United di Mourinho e poche altre esperienze. Nel senso, per capirci: è la Juve di Dybala, è il Real di CR7, è il Psg di Neymar. Sarri e Guardiola, invece, sono due tecnici in grado di fagocitare il racconto delle loro squadre, non c’è niente di male, non si tratta di avere una narrativa “superiore” a quella dei propri calciatori (anche perché il City ha fior di campioni, di certo più del Napoli), ma di sedurre i media con la forza dei concetti di gioco, con il fascino del lavoro in allenamento che si traduce in identità sul campo.

Si è giocato molto anche sulla forza del parallelo, anzi sono tre anni che succede. Nel senso che il calcio di Sarri somiglia a quello di Guardiola, due maestri del gioco, due esteti, due idealisti e così via. Vero anche questo, non c’è niente di male neanche qui, si parla di interpretazioni diverse del gioco di posizione “inventato” (nel senso di “portato alla massima espressione possibile”) dal tecnico catalano e pian piano ripreso da tutti gli innovatori. In Italia fa più rumore perché il Napoli ne ha dato un’interpretazione di grande intensità ed efficacia, diciamo pure che non siamo abituati.

Supremacy

Abbiamo detto e letto e visto tante cose giuste, ripetiamo, ma sono anche concetti limitanti. Perché il Guardiola che affronteremo stasera, prima di tutto, è un allenatore di calcio. Che punta a vincere le partite seguendo una sua filosofia, ma anche adattandosi al contesto. È la sua forza, e siamo molto lontani dal tiqui-taca.

Evoluzione

Ecco, noi vi stiamo invitando ad andare oltre. A capire che il Guardiola di oggi è un parente stretto di quello del 2009, ma non il suo gemello di pensiero. È un tecnico che allena un’altra squadra, altri calciatori, e perciò si è portato dietro qualche idea mentre nel frattempo ne sviluppava altre.

E non è (non è mai) solo una questione di moduli, ma proprio di principi di gioco. L’idea fissa resta quella di creare superiorità numerica in zona palla (proprio come fa il Napoli) e nel frattempo di tenere il pallone il più possibile (come fa il Napoli), ma il possesso non è più esasperato come al tempo degli Xavi o degli Iniesta, perché Xavi e Iniesta non ci sono più. Ci sono due interni diversi, due ex esterni offensivi (Silva e De Bruyne) con caratteristiche opposte, il primo porta molto il pallone e il secondo attacca in verticale la porta o cerca ripetutamente l’imbucata per i compagni (il belga è il primo giocatore della Premier per occasioni create, 26).

Come gioca (bene, benissimo) De Bruyne.

Non c’è Messi, quindi non esiste il più il concetto di falso nueve (che non c’entra niente con Mertens, ricordiamolo), ma ci sono uno o due attaccanti a seconda del caso (Gabriel Jesus e/o Aguero) che fanno proprio gli attaccanti, sempre rispettando i principi di gioco di cui sopra. Ovvero vengono a giocare con la squadra, scambiano con i centrocampisti, aprono lo spazio per i loro inserimenti, ma poi a un certo punto attaccano l’area per buttare in porta la palla – come fanno da sempre i centravanti, del resto.

I terzini giocano larghissimi, sono un’opzione di passaggio sempre spendibile, questa è una dinamica implementata quest’anno e che si rifà un po’ ai tempi di Dani Alves e Maxwell, ma che per esempio al Bayern Monaco non veniva utilizzata. Perché, appunto, Alaba e Lahm erano un’altra cosa e venivano utilizzati in un altro modo.

Come definire il City

Da qui si deduce, si dovrebbe dedurre, che Guardiola è un tecnico con un cervello fino, nel senso di finemente opportunista. Nessun idealismo può resistere alla forza del tempo che cambia le cose e i calciatori, se c’è una cosa che Sacchi non ha saputo fare è stata quella di rinnovare sé stesso e alla fine ha ceduto sotto questo peso. Sarri non è differente, il Napoli non è l’Empoli e quindi il Napoli di Sarri è un adattamento dei principi di Sarri ai calciatori che il Napoli ha messo a disposizione del tecnico. Altrimenti non si spiegherebbero i dati sul possesso palla dell’Empoli 2014/2015, solo settimo dietro il Napoli di Benitez, la Lazio di Pioli (!), la Juventus di Allegri (!!!), l’Inter di Mazzarri e Mancini (!!!!!!!!!!!!).

È il discorso della masturbazione mentale fatto ieri da Sarri, applicato alla narrazione sportiva. Il Napoli, questa sera, affronterà una squadra dai principi di gioco simili ai propri, a quelli del Barcellona 2008-2012, ma comunque dissimili dal tiqui-taca blaugrana. La squadra messa su da Guardiola ha la forza di essere multiforme, di alternare uno sviluppo orizzontale della manovra a ribaltamenti improvvisi, di poter scegliere tra gioco posizionale (soprattutto) e transizioni in velocità, insomma riesce a rappresentare tante forze e tanti concetti. E lo fa con calciatori di livello altissimo, praticamente al livello del Real Madrid o del Barcellona. Guardiola ha dovuto adattare il guardiolismo alla Premier, che non significa stravolgere sé stessi ma cercare ed accettare un compromesso. Con lo stesso obiettivo finale: cercare di vincere le partite attraverso la forza del gioco, poi dei giocatori. Semplice, sempre uguale, eppure sempre suscettibile di cambiamenti.

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