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“Hamsik problema del Napoli” è una suggestione. Lo dice anche la psicologia

I numeri e il lavoro dello psicologo islandese smentiscono l’equivoco d’amore di cui è puntualmente vittima il capitano del Napoli

“Hamsik problema del Napoli” è una suggestione. Lo dice anche la psicologia
Hamsik Photo Matteo Ciambelli

Lo studioso islandese Guðjónsson

Gísli Hannes Guðjónsson è un noto psicologo islandese, molto apprezzato non soltanto nel mondo della psicologia ma anche, ad esempio, nell’universo parallelo della giurisprudenza. Guðjónsson è famoso, tra le altre cose, per aver ideato e perfezionato un test per la valutazione della suggestione psicologica. In pratica, secondo lo psicologo islandese, il suo test aiuterebbe a spiegare con una certa accuratezza quanto sia distorcibile la verità oggettiva e quindi la visione su di essa di ciascun individuo/osservatore semplicemente influenzando quest’ultimo con informazioni false o, nel migliore dei casi, superficiali e inesatte.

Vi starete chiedendo, a questo punto, che nesso ha questo breve cenno storico sulla psicologia mondiale con Marek Hamsik: ebbene le due cose sono direttamente collegate. Anzi, a parer mio, proprio il test di Guðjónsson (GSS, ndr) spiegherebbe l’assurda teoria che corre tra sommari talk show e chiacchiere da bar tra tifosi secondo la quale Marek Hamsik sarebbe il problema di questo Napoli di inizio stagione.

Il capitano del Napoli vittima di un equivoco d’amore

Il capitano del Napoli è vittima di un equivoco popolare d’amore, già da qualche anno. Una buona parte di tifosi, infatti, tende ad associare alle sue prestazioni le gioie ma soprattutto i dolori derivanti dalle partite giocate – fino a prova contraria – da undici giocatori, lui compreso. In parole spicciole: se il Napoli gioca benissimo allora anche Hamsik avrà giocato una partita sontuosa, se il Napoli gioca bene soffrendo quanto basta allora Hamsik risulterà inevitabilmente tra i peggiori in campo e, infine, se il Napoli avrà giocato una partita decisamente sotto le aspettative allora Hamsik sarà certamente tra i peggiori in campo, se non il peggiore in campo, risultando determinante tra le cause del non gioco e/o delle sconfitte eventuali.

Più volte, mi sono detto di non ascoltare mai il parere di chi, secondo me, parla senza alcuna cognizione di causa, basando le sue teorie su sensazioni che risalgono il più delle volte dalla pancia. Altre volte, mi sono detto che, come sempre, la verità sta nel mezzo. E che vada ricercata semplificando all’essenziale l’enorme mole di informazioni carpite dal campo, sugli spalti o avanti ad un monitor. Quindi, prima di cadere io stesso in questo equivoco, ho deciso di vederci chiaro. Magari con l’aiuto dei numeri e di Gísli Hannes Guðjónsson.

“Interrogative Suggestionability”

La tendenza a cedere ai suggerimenti contenuti in opinioni fuorvianti è stata chiamata da Guðjónsson “Interrogative Suggestionability” e fa riferimento alla “facilità con cui un individuo adotta e inserisce nel proprio ricordo contenuti non veri assimilati in modo diretto o indiretto nei contesti in cui si trova durante l’osservazione o l’ascolto. In pratica, secondo la psicologia universalmente riconosciuta, il tifoso medio tende a criticare un giocatore come, in questo caso, Marek Hamsik semplicemente “per sentito dire”.

Un altro fenomeno che è stato evidenziato è la reazione a commenti negativi; Guðjónsson ha dimostrato che se il soggetto riceve un feedback negativo, egli tende a modificare la sua opinione anche nel caso in cui la sua idea di partenza sia corretta. Si deduce, quindi, che la semplice e sacrosanta osservazione attenta delle prestazioni (sul campo o da casa, non fa alcuna differenza) non basta a far cementificare nella mente dell’osservatore/tifoso medio un’opinione oggettiva e grossomodo veritiera. 

In generale il fenomeno per il quale il suggerimento di informazioni porta a modificare l’opinione personale di base è stato chiamato “post-event misinformation effect”. Letteralmente: effetto della disinformazione post-evento. Ora, se teniamo ben presente che il Napoli è tra le cinque squadre italiane con il maggior numero di tifosi nel mondo, allora possiamo aggiornare la definizione di cui sopra in “effetto della disinformazione di massa”.

Le linee di passaggio di Marek Hamsik alla fine di Napoli-Cagliari

O della disinformazione

Disinformazione dovuta nella maggior parte dei casi a superficialità latente e che viene evidenziata dai numeri, come sempre tra i narratori super partes più credibili. In molti hanno definito la scorsa stagione la migliore dell’intera carriera di Marek Hamsik fino ad oggi. In 38 partite giocate, considerando il solo campionato di Serie A, lo slovacco ha totalizzato 10 assist piazzandosi terzo in questa speciale classifica in condominio col Papu Gomez (che gioca nel tridente disegnato ad hoc da Gianpiero Gasperini per la sua Atalanta), alle spalle di Mohamed Salah (nel tridente anche lui, come Gomez) e di Josè Maria Callejon (indovinate in che ruolo gioca lo spagnolo?).

A differenza dei tre attaccanti sopracitati, Hamsik ha fatto registrare la percentuale più alta di passaggi riusciti, risultando catastrofico per le retroguardie avversarie e determinante per lo sviluppo del gioco – in fase difensiva e in fase offensiva – del 4-3-3 di Maurizio Sarri. Non è un caso se l’allenatore toscano ha rinunciato a lui raramente. Impossibile fare a meno dei suoi 67 key passes, realizzati con un’accuratezza dell’88% durante l’arco di tutta la stagione. I 12 goal (4 in meno del Papu Gomez) non ci dicono soltanto che è il secondo centrocampista assoluto per goal segnati in Serie A, ma che è quello con l’attitudine maggiore a seguire le azioni offensive della sua squadra, ampliando il suo raggio d’azione dalla linea di centrocampo fino a quella di porta.

Eppure, nonostante questo biglietto da visita, Marek è stato travolto da una vera e propria valanga di critiche generate da quello che sarebbe stato un avvio di stagione sottotono. Il condizionale d’obbligo riporta tutti con i piedi per terra in poco tempo se, come sempre, ci si affida ai numeri per capire e per ovattare la percezione delle cose, proteggendola da opinioni fuorvianti. Le stesse di cui parla Guðjónsson, appunto.

A destra il rendimento di Hamsik nelle prime sette partite di Serie A 2016/2017, a sinistra nelle prime sette di Serie A 2017/2018

Lasciamo parlare i dati

Si è letto di un Hamsik spento, passivo, scarsamente incisivo, eppure il capitano del Napoli ha fatto registrare un miglioramento nell’accuratezza dei passaggi (dall’88% al 91%) e nella precisione al tiro (dal 31% al 57%) rispetto alle prime sette sfide di Serie A della scorsa stagione. Leggiamo che è diminuita sensibilmente la distanza media dei suoi passaggi (da 19m a 14m) ma ciò non sta a indicare necessariamente una sua attitudine minore alla giocata. Anzi. La minore distanza nei passaggi ci dice che Marek è tendenzialmente molto più partecipe alla costruzione della manovra e i palloni che transitano tra i suoi piedi finiscono 9 volte su 10 puntualmente a un compagno di squadra. I 6 key passes (0,85 a partita, Pjanic è il migliore con 1,14 a partita) e un assist vincente descrivono un Hamsik diverso ma determinante e partecipe allo stesso modo. Questa mutazione è indubbiamente collegata alla variazione generale dello sviluppo offensivo del Napoli.


(Gif – Napoli-Cagliari, rete del momentaneo 1-0: Hamsik sembra comunicare anticipatamente la sua intenzione a Mertens prima di tagliare di netto tutta la linea difensiva del rossoblù)

Se le stats relative alle prime sette uscite della scorsa stagione si riferiscono a quelle di una mezz’ala dinamica a supporto di una costruzione per una punta centrale classica (Arek Milik si sarebbe infortunato in Nazionale solo dopo la settima giornata di campionato), quelle di quest’anno sono conformi a quelle di una mezz’ala aggregativa e partecipativa, perno fondamentale di un sistema perfettamente oleato finalizzato alla costruzione del gioco inteso come possesso delle sorti delle partite attraverso il controllo del pallone.

Uno studio della South China Normal University

Sembra evidente come, ad una più attenta analisi oggettiva in cui gli unici interlocutori sono le immagini e i numeri, la risposta alla domanda “Marek Hamsik è il vero problema di questo Napoli?” sia chiaramente “No”. Quindi perché questo accanimento contro lo slovacco? E, soprattutto, perché le ondate di critiche sulle sue prestazioni sembrano scemare dopo qualche giorno dall’ultima uscita e incalzare prepotentemente a ridosso della successiva? Dato che il campo ha già dato le sue incontestabili risposte, cerco una spiegazione altrove. Magari dalla psicologia stessa.

Nel maggio del 2014, uno studio della South China Normal University, pubblicato dalla rivista Psychological Science, spiegò come le persone tendono a modificare la loro opinione – anche se oggettivamente comprovata – per omologarla a quelle del “gruppo”, inteso come “massa”. In particolare, secondo lo studio, questo comportamento dura in media solo tre giorni. Rongjun Yu, uno degli artefici, disse che: «i risultati suggeriscono che l’esposizione alle opinioni altrui possono effettivamente cambiare quelle nostre private, ma non per sempre. Proprio come un farmaco può essere efficace per un certo periodo di tempo, l’influenza sociale sembra avere una finestra di tempo limitata per la sua efficacia». Fortunatamente.

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