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Maggio e la memoria corta dei tifosi del Napoli

L’Operazione Nostalgia del Napoli per dimostrare che Maggio è stato un giocatore fondamentale e l’irriconoscenza dei tifosi

Maggio e la memoria corta dei tifosi del Napoli
Maggio

Ai primi di agosto la pagina Facebook Ssc Napoli – Operazione Nostalgia (ve la consiglio), dopo la vittoria degli Azzurri in Audi Cup contro il Bayern, pubblica una gif che ha l’ardire di elogiare una diagonale difensiva di Christian Maggio. Tra i follower della fanpage nasce una discussione, piuttosto partecipata, non solo sul senso della permanenza del terzino veneto in questo Napoli, ma in assoluto sul suo valore e sul suo contributo al club dal 2008 a oggi.

Ssc Napoli – Operazione Nostalgia nei giorni successivi è costretta a tornare un altro paio di volte sull’argomento per ribadire una cosa che dovrebbe essere ovvia: Maggio è stato un giocatore fondamentale nella storia recente del Napoli. Senza di lui l’epopea dei Tre Tenori non sarebbe stata la stessa. Eppure non tutti i lettori erano d’accordo.

Venendo ad oggi

Il modo in cui ormai si percepisce Maggio in squadra, vale a dire il modo in cui è stato acquisito che il Napoli 2017/2018 ha, almeno nel girone d’andata, lui come terzino di riserva, dimostra un paio di cose.

La prima è che, per quanto nel bar sport sia tutto un chiacchierare sul calcio che ha perso i vecchi valori, il tifoso non solo è utilitarista (lo sapevamo), ma nell’irriconoscenza ha la memoria corta e selettiva. Un conto è dire che Maggio in questo Napoli fatica perché, per quanto sia affidabile in fase difensiva (contro l’Atalanta qualcuno ha notato il Papu Gomes?), non è in grado di sostenere lo spumeggiante tiki-taka sarriano in quella offensiva. Altro è denigrarlo. Altro è dire a un signore con 34 presenze in Nazionale, titolare in tutti i Napoli che hanno vinto un titolo negli ultimi 25 anni, che è scarso (bestemmia!) tout court.

La seconda lezione è che, vista la fine indecorosa che sta facendo un veterano alla decima stagione in maglia azzurra, è sempre meglio che le strade tra una città e un atleta si dividano quando questo è nel meglio delle forze, e non quando declina. Meglio per tutti, intendo: club (che capitalizza), giocatore (che lascia un buon ricordo) e tifosi (che, superato lo sgomento iniziale, quel buon ricordo lo conservano). Il problema è che le tre parti non lo capiscono, o almeno non ci arrivano in sincrono, e le resistenze all’idea sono sempre tante.

La carriera di Maggio

Provando a periodizzare la carriera di Maggio a Castelvolturno, si può dire che fino al 2012 sia stato stabilmente tra i migliori della rosa: un passo indietro per prestigio e visibilità rispetto a Lavezzi, Cavani e Hamsik, ma avanti a tutti gli altri. In una squadra contropiedista, la sua corsa e la sua capacità di inserimento sulla fascia sono devastanti. Ecco, secondo Transfermarkt, è proprio nel 2012 che Maggio raggiunge il valore massimo (10 milioni di euro). In seguito, nell’ultimo Napoli mazzarriano e poi in quello di Benitez, Maggio è rimasto titolare, ma la diversa fisionomia di gioco gli ha sottratto le armi della corsa in campo aperto e della sovrapposizione.

Nella primavera del 2015 è arrivato l’ultimo rinnovo triennale. L’estate successiva, con gli approdi di Sarri e di Hysaj, sappiamo come è finita. Già so che qualcuno starà pensando: “Sì, vabbè, tutto quello che vuoi, ma bastava che De Laurentiis comprasse a un altro terzino destro e noi a Maggio volevamo bene lo stesso”. Comunque è un ragionamento che non funziona.

Innanzitutto perché già ne abbiamo uno di terzino che percepisce lo stipendio per non fare nulla (Zuniga). E poi perché non ha comunque senso tenersi i giocatori con la prospettiva che, quando non sono più utili in campo, passano al ruolo di mascotte. Con Maggio è andata come è andata, ma a conti fatti non era meglio cederlo nel 2012, pur a costo di rodersi il fegato nel vederlo, chessò, due anni all’Inter con Campagnaro? Pensateci, e proiettate il pensiero verso i campioni di oggi e verso il futuro. Lasciate perdere l’attaccamento alla maglia, le bandiere, i sentimentalismi.

La verità è che non ci credete sul serio manco voi

Il motto di guerra di Cavallo Pazzo era: “Oggi è un buon giorno per morire”. In fin dei conti giocatori, tifosi e dirigenti, più banalmente, dovrebbero sapersi dire quando è un buon giorno per salutarsi e cambiare strada. Adesso sembra un’ipotesi remota, ma un domani un Mertens che perde esplosività nelle gambe e imprevedibilità in campo, o un Hamsik diventato lento e farraginoso, o un Callejòn che non ha più birra per macinare chilometri sulla fascia dispensando chiusure e assist, subirebbero lo stesso trattamento. Ed è un peccato.

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