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Oggi è il giorno del giudizio per Agnelli (e la Juventus)

L’accusa chiederà una pena non superiore ai tre anni per i rapporti con gli ultrà cui ha consentito il bagarinaggio per cinque anni (perun giro di cinque milioni di euro)

Oggi è il giorno del giudizio per Agnelli (e la Juventus)
Andrea Agnelli

La trattativa

È il giorno. Nel pomeriggio, in via Po, a Roma, il presidente della Juventus Andrea Agnelli, Francesco Calvo (l’ex responsabile marketing), Alessandro Nicola D’Angelo e Stefano Merulla saranno giudicati davanti al presidente del Tribunale sportivo Cesare Mastrocola e al collegio dei giudici. L’accusa è nota: i “presunti” rapporti intrattenuti con la tifoseria organizzata per l’acquisto da parte della stessa, di biglietti e abbonamenti ai fini di bagarinaggio e altre utilità, con la realizzazione di illeciti guadagni per associazioni malavitose». Per cinque campionati, dal 2011 al  2015.

Si ritrovano dopo il 26 maggio scorso, quando la Corte di giustizia sportiva aveva accettato quella che sembrava una “innocente” richiesta di rinvio. Il Tribunale concesse tre mesi per consentire alle parti di arrivare a un compromesso e anche per evitare una condanna al presidente del club che il 3 giugno avrebbe giocato la finale di Champions con il Real Madrid a Cardiff.

I legali della Juventus insistettero per fissare la data al 15 settembre. Una richiesta singolare, che fu accolta senza ipotizzare altri scenari. Non sapevano, non potevano saperlo, né i giudici né la Procura federale sportiva, che il 5 settembre ci sarebbe stata l’elezione per il presidente dell’Eca – l’organismo di rappresentanza dei club di calcio europei – e che Agnelli ambiva a quella carica.

Adesso dall’entourage della Juventus giurano che a maggio non sapessero nulla di questa candidatura. Difficile credergli. Difficile non pensare che la loro sia stata una mossa strategica, per non dire una grande presa per i fondelli.

Cosa rischia

In ogni caso, se le richieste dell’accusa dovessero essere accolte, Andrea Agnelli potrebbe essere costretto a dimettersi da presidente dell’Eca, così come stabilisce la lettera h dell’articolo 19 del Regolamento sportivo contestato agli imputati. Ecco cosa stabilisce: «l’inibizione temporanea a svolgere ogni attività in seno alla Figc con eventuale richiesta di estensione in ambito Uefa e Fifa, a ricoprire cariche federali e a rappresentare la società nell’ambito federale, indipendentemente da eventuali rapporti di lavoro». Cui va aggiunto  l’articolo 29 dello Statuto: «Per essere eletti o nominati alle diverse cariche…negli ultimi dieci anni i candidati non devono essere stati colpiti da provvedimenti disciplinari sportivi definiti per inibizione o squalifica complessivamente superiore a un anno».

Richiesta di pena non superiore ai tre anni

Il procuratore federale, il prefetto Giuseppe Pecoraro, oggi chiederà una pena alta. Non superiore ai tre anni, ma alta. Anche perché il materiale probatorio è molto compromettente.

La storia è nota. Tutto è nato da un’inchiesta della Procura di Torino sulla infiltrazioni della ‘ndrangheta a Torino e in Piemonte. Tutto nacque da un’indagine su una banda di criminali slavi. Da lì, si è poi arrivati ai rapporti tra la Juventus e gli ultrà. Con tanto di intercettazioni, testimonianze e ammissioni degli stessi dirigenti bianconeri.

Il club e i suoi dirigenti hanno evitato per un soffio di essere indagati nel processo penale. La Procura ritenne di non avere gli elementi sufficienti per contestare alla Juve il favoreggiamento della ‘Ndrangheta. Perché, vale la pena ricordarlo per quei pochi che ancora non lo sapessero, il grande mediatore tra le diverse tifoserie ultrà e la Juventus è stato un certo Rocco Dominello recentemente appena  per essere stato riconosciuto come uomo della Ndrangheta della famiglia di Rosarno, piana di Gioia Tauro.

Giro d’affari di cinque milioni di euro

Tornando alla giustizia sportiva, secondo Pecoraro una parte dei profitti degli ultrà finì a Dominello, quindi alla ‘Ndrangheta (dobbiamo obbligatoriamente aggiungere all’insaputa della Juventus). E stiamo parlando, secondo i calcoli dell’accusa, di circa cinque milioni di euro che i vari gruppi ultrà si divisero.

Ovviamente gli eventuali rapporti tra la Juventus e la ‘ndrangheta – peraltro esclusi dalla Procura – non interessano alla giustizia sportiva. Cui interessa altro, come è chiaro leggendo il primo comma dell’articolo 12 del Regolamento. «Alle società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori, salvo quanto previsto dalla legislazione statale vigente».

Il secondo e il terzo comma sono altrettanto illuminanti. «Le società sono tenute all’osservanza delle norme e delle disposizioni emanate dalle pubbliche autorità in materia di distribuzione al pubblico di biglietti di ingresso, nonché di ogni altra disposizione di pubblica sicurezza relativa alle gare da esse organizzate. Le società rispondono per la introduzione o utilizzazione negli impianti sportivi di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti ed oggetti comunque idonei ad offendere, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose o incitanti alla violenza».

Agnelli era a conoscenza del sistema biglietti

Dalle intercettazioni, dagli interrogatori e dalle testimonianze rese alla Procura di Torino, è emerso con chiarezza che Andrea Agnelli fosse a conoscenza della regolare vendita agli ultrà della Juve di biglietti e abbonamenti ben oltre il numero dei quattro ciascuno, così come stabilito dal regolamento.

Ci sono poi le intercettazioni e le ammissioni che inchiodano il responsabile della sicurezza della Juve nell’episodio in cui aiutò gli ultrà ad far entrare nello Stadium striscioni offensivi nei confronti della tragedia di Superga nonché fuochi pirotecnici.

Forse già oggi sapremo se i giudici accoglieranno le richieste dell’accusa. Restano ancora due gradi di giudizio: l’Appello e poi il Coni (la Cassazione della giustizia sportiva).

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