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Zidane, elogio della semplicità funzionale di un fuoriclasse della panchina

Un trofeo vinto ogni 14,8 partite in panchina, con una squadra fortissima che gioca in maniera semplice: si può dire che Zidane sia un grande allenatore.

Zidane, elogio della semplicità funzionale di un fuoriclasse della panchina

Fuoriclasse

Ma allora che allenatore è Zinedine Zidane? O meglio: è un grande allenatore? Il suo Real Madrid, dopo un calcolo semplice eppure incredibile, ha vinto un trofeo ogni 14,8 partite disputate, e 6 delle ultime 8 competizioni cui ha preso parte. Zidane è diventato la sicurezza della vittoria, e ci siamo posti le domande di cui sopra. Che condensiamo, tutte insieme, in un unico quesito: quanto merito di Zidane c’è in questo Real Madrid?

Rispondiamo subito: tanto, tantissimo. E non è solo un discorso rapportato coi suoi due predecessori, Ancelotti e Benitez. Il primo ha vinto la Champions e la Copa del Rey, il secondo non è riuscito a resistere e ad imporsi sui voleri ultraoffensivi di Florentino Perez e su uno spogliatoio denso di primedonne. Ecco, e probabilmente il punto focale del discorso su Zidane è proprio questo. Al di là della tattica, la costruzione di questo Real quasi perfetto nasce dall’atteggiamento di Zizou. Che è, a tutti gli effetti, un ex fuoriclasse finito in panchina, a ricoprire un ruolo che l’ex fuoriclasse che era non amava particolarmente. Specie quando l’idea era quella di ingabbiare, comprimere il talento.

Un fuoriclasse del campo può diventare un fuoriclasse anche in panchina, allora. In realtà qui ci ricolleghiamo alla questione precedente: Zidane è un grande allenatore? Rispondiamo anche qui: sì, perché vince. E vincere non è mai una cosa facile. È una cosa meno difficile quando hai una squadra composta da 4-5 fuoriclasse epocali, 5-6 grandissimi calciatori e il resto grandi calciatori e basta. Ma ci vuole bravura, per metterli insieme e farli giocare bene. E la bravura di Zidane, che nasce dal modo di gestirli, è la bravura della semplicità.

Semplicità

In redazione, qui al Napolista, abbiamo discusso molto sul fatto che Zidane sia un grandissimo allenatore proprio perché ha capito che un santone della panchina, un idealista, un grande stratega tattico, non avrebbe avuto presa sulla squadra di Ronaldo, Benzema, Bale, Modric e Kroos. Allo stesso tempo, però, ci siamo interrogati sulle mosse tattiche compiute dal francese in questi due anni (o quasi) di reggenza: Casemiro, innanzitutto, e la conseguente giubilazione di James. E la scelta di andare gradualmente a rivedere al ribasso la posizione di Bale, preferendogli (al netto degli infortuni) piccoli grandi campioni come Isco, Asensio, a volte addirittura Lucas Vazquez.

E poi, parlando di tattica vera e propria, il lavoro di normalizzazione, funzionale ma tuttavia estetica, del possesso palla: due calciatori eccezionali nella costruzione della manovra come mezzali, due esterni praticamente a tutto campo e un modulo fluido, che da 4-3-3 può diventare 4-3-1-2 (quando c’è Isco, come ieri sera), o anche 2-1-4-3 in fase di non possesso, con Casemiro a fare da guardia ai due centrali e Carvajal e Marcelo larghissimi a offrire soluzioni di passaggio. Che poi, con questi calciatori, il modulo diventa (ancor di più) solamente un modo di incasellare i numeri fino a somma dieci. Perché il Real rispetta principi sempre uguali, funzionali ed estetici come detto sopra: il possesso palla che si alterna alla verticalizzazione, al lancio nello spazio; gli esterni che si sovrappongono, sempre; le mezzali che creano triangoli con i calciatori che agiscono sulle fasce; i movimenti a pendolo degli attaccanti, soprattutto di Benzema, che apre lo spazio a Ronaldo.

Forza

Insomma, tutta roba non cervellotica, non estremamente complessa. Ma che funziona, e si adatta perfettamente all’organico di campionissimi costruito da Florentino Perez con una filosofia nuova, quella dei giovani accanto ai grandi campioni. Varane (acquistato a 18 anni) e Sergio Ramos, Casemiro (arrivato a Madrid a 21 anni direttamente dal Brasile) e Kroos, Isco e Asensio accanto a Bale. Zidane si è ritrovato la squadra (forse) più forte e completa degli ultimi vent’anni, e ha il grande merito di farla rendere e giocare al meglio delle sue possibilità. Senza ricercare troppe utopie tattiche, senza calcare troppo la mano con gli esperimenti. Non sappiamo se sarebbe in grado, ma non ne ha bisogno. Perché vince sprigionando il talento incredibile di questa squadra.

Esattamente quello che accadeva a chi si ritrovava ad allenare Zidane. Lo stesso concetto, la semplicità e la modernità dei migliori calciatori messi nelle condizioni di rendere al meglio. In un sistema funzionante e lineare, che ieri sera è stato perfetto fin quando le gambe hanno tenuto. E che vince, ininterrottamente, dalla Primavera del 2016. Tutto questo fa di Zidane un grande allenatore? Noi diciamo di sì, e il fatto di allenare una squadra quasi senza uguali non è certo una colpa. Perché il merito di alzare sei trofei, uno ogni 14,8 partite, cancella tutti i dubbi. Li annienta, li seppellisce, li estingue. Sotto il sorriso della semplicità.

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