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Quando Pino Daniele chiese: «Nunn’è cchiù interessante ‘a tristezza ca’ l’alleria?»

“Terra mia” di Daniele Sanzone e Claudio Poggi è un libro che emoziona, racconta la Napoli degli anni Settanta attraverso il linguaggio crudo del ribelle

Quando Pino Daniele chiese: «Nunn’è cchiù interessante ‘a tristezza ca’ l’alleria?»

Terra mia

C’è un ricordo di Pino Daniele, folgorante. È a pagina 33: «Quel giorno Pinotto gli fece una domanda che non avrebbe più dimenticato: “Enzù ma secondo te, nunn’è cchiù interessante ‘a tristezza, ca’ l’alleria?”».

L’ho riletto un paio di volte, questo passaggio. Mi è venuto «’o fridd nguoll», per dirla con il mio amico Daniele Sanzone, autore con Claudio Poggi, produttore di Pino Daniele, di «Terra Mia» (minimum fax editore, 16 euro).

Confesso che Daniele Sanzone mi aveva regalato il libro da un mesetto e stava lì sul comodino, offeso che non l’avessi neppure aperto. Poi mi sono deciso di portarlo con me, a prendere un po’ d’aria di Sardegna. E nel viaggio di andata e ritorno in aereo, mi ha voluto regalare la gioia di farsi leggere.

Non sono un critico letterario, non so di recensione e di tecniche per fregare l’autore (tipo leggere le prime dieci pagine e un paio e un paio fino alla fine), e dirgli l’ho letto ed è bello. Poi in questo caso gli amici sono due, tutti e due gli autori del libro perché Claudio Poggi nei fatti è entrato anche lui nella colonia della diaspora napoletana a Roma.

Il fermento degli anni Settanta

E, dunque, non vi starò a dire che il libro è bellissimo e dovete leggerlo e comprarlo (lo do per scontato) ma proverò a chiudere gli occhi per cercare di trasmettere i suoni, gli odori, i colori di quella Napoli che comincia a respirare aria di novità, in quei bellissimi anni Settanta che precedono gli sconvolgimenti sociali e politici che furono la premessa perché Napoli passando prima dallo scudetto e la Coppa Europa si aprisse al suo Rinascimento.

Claudio e Daniele raccontano Pinotto Daniele che muove i suoi primi passi in quegli anni Settanta. Che per lui è per la città sono anche gli anni delle lotte dei disoccupati organizzati, di un sociale subalterno che comincia ad avere coscienza di sé. Pino in fondo è figlio di quella Napoli.

Il libro “Terra mia”

L’ossimoro vero che racconta Napoli

Il libro è una storia ricca di aneddoti e di particolari nuovi sul nostro cantautore. I colori e gli odori sono quelli della Napoli del più grande centro storico d’Europa. Dove passato e degrado riempiono i vuoti del presente.

In fondo quando gli autori ricordano quella domanda che si pone Pinotto sulla tristezza e sull’allegria, non è l’ossimoro vero che racconta Napoli? Città triste e allegra, dove coabitano tragedia e commedia, speranza e delusione, amore e violenza. Napoli era così, ai tempi di Pinotto, ed ancora oggi è la città che vive di speranze, illusioni e delusioni.

Il libro è un po’ la cronaca di quegli anni Settanta. E il momento magico è il 1976, quando nasce “Terra mia”, «che è tutto me stesso, è tutto quello che sento e che voglio dire ora e nei dischi che farò, e anche in quelli che non farò».

Il Pino Daniele ribelle

È un Pino Daniele  ribelle, quello che racconta Napoli con il suo linguaggio crudo, con la sua poesia e dolcezza. Ancora non si è impossessato dell’italiano, non mastica il vero blues che gli scorre nelle vene e l’inglese. Non è ancora l’unico vero e grande ambasciatore di Napoli nel mondo, che ha saputo fondere la città e proiettarla in un universo senza tempo.

Qui, Claudio Poggi e Daniele Sanzone, raccontano la fatica, il sudore, le speranze di un giovane musicista, chitarrista che al primo appuntamento con la sua carriera, con quello che sarà il suo produttore, è in giro a suonare con Bobby Solo.

Il racconto di una generazione

“Terra Mia” è il racconto di una generazione di grandi musicisti che hanno la musica dentro e che devono esplodere. Da Toni Cercola, che non sta mai zitto e fermo, a Enzo Avitabile, da James Senese a Tullio De Piscopo. Sono tutti giovani promesse che riusciranno a sfondare e che rappresenteranno nel mondo la colonna sonora di questa nostra Napoli.
Eccola la città dai doppi contrapposti.

È per un caffè «dolce e amaro» che si interromperà il sodalizio tra Claudio e Pino Daniele. Anche se poi, un giorno i due si riabbracceranno. Non c’è il Daniele di «A me me piace ‘o blues». Ma in fondo anche quando cantava «Napul’è», il blues scorreva nelle viscere della sua città.

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