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De Mita rifiuta la politica dei tweet: le battute sono per i comici

A novant’anni ha impartito una lezione di comunicazione. Il suo non è stato un affronto ai giornalisti, bensì rispetto per la politica (quella vera)

De Mita rifiuta la politica dei tweet: le battute sono per i comici

La lezione di comunicazione

“Non sono venuto qui per voi”! il vecchio leader dà la zampata del fuoriclasse che non conosce l’offesa del tempo né i progressi della tecnologia. Il colpo del genio. La pennellata dell’artista. La finta di Maradona. Una di quelle cose che noi comuni mortali, e neanche tutti per la verità, riusciamo a capire solo dopo che è stata realizzata. Spesso dopo una riflessione che va oltre l’atto o il gesto. De Mita ieri, sulla soglia dei 90, ha dato una lezione di comunicazione che non molti hanno compreso.

Stretto in un angolo sulla sedia, circondato da taccuini, telecamere, microfoni, registratori e smartphone, al di là del momento di fastidio per l’assedio (vorrei vedere quanti riescono a mantenere la calma in situazioni simili), se ne è uscito con una battuta che sembra la reazione del vecchietto cui manca l’aria nella ressa, ma che in realtà invita ad una valutazione rispetto a quello che accade nei media vecchi e nuovi.

I tempi del web e delle tv

Arrivato in un albergo cittadino per presentare quello che proporzionalmente resta del Centro, il sindaco di Nusco, già segretario della Democrazia Cristiana e contemporaneamente presidente del Consiglio negli anni Ottanta (“’O padron’ e l’Italia”, lo si definiva in un vecchio film), si è trovato praticamente travolto dai giornalisti in cerca della “battuta”. Ecco, la “battuta”: una cosa che De Mita ha sempre considerato prerogativa da comici, certamente non una qualità per politici o per amministratori della cosa pubblica. Ma i tempi del web e dei montaggi televisivi, unitamente al livello infimo degli interventi durante un dibattito politico dei nostri giorni, rendono sempre più difficile la presenza permanente dei giornalisti in sala. Da qui la necessità dei media di accorciare, anzi, di ottimizzare i tempi chiedendo la “dichiarazione” ai protagonisti prima del convegno.

L’articolo 21 non c’entra nulla

Il rifiuto, con urlo allegato, è stato interpretato da molti come lesa maestà o come attacco all’articolo 21 della Costituzione. Un giudizio superficiale e poco approfondito. In realtà le interpretazioni del “Non sono qui per voi”, sono complesse ed articolate su diversi piani. La prima: il sindaco di Nusco, con il suo proverbiale “garbo di giocatore del Tressette”, ha invitato i giornalisti a fare il loro mestiere. Ascoltare tutto l’intervento per poi estrapolarne i passaggi che servono per scrivere l’articolo e fare i titoli. Un’abitudine che la stampa ha smarrito non certo per colpa della fretta generata dai nuovi media, ma per difetto di qualità dei nuovi attori sulla scena.

“Non sono qui per voi”

Una volta, finito il convegno, bisognava fisicamente correre in redazione per scrivere il pezzo, la dichiarazione “pre” era  l’eccezione e non la regola. Però il livello dei dibattiti era sicuramente più alto e qui entra in scena la seconda interpretazione del “Non sono qui per voi”. È il politico di razza che bypassa i media per parlare direttamente al pubblico, con la sola tecnologia del microfono perché ha contenuti più complessi e quindi meno veicolabili con i social ed internet.

La bulimia dei selfie e dei post

Presi dalla bulimia del selfie, del post o del tweet, per dichiarare il nulla ed il contrario del nulla a distanza di pochi minuti, molti politici dei partiti tradizionali hanno perso il contatto con la realtà e con il voto basato sul consenso. La prima responsabile del successo dell’antipolitica è il livello attuale della politica. Purtroppo, sul piano della partecipazione, questo ha generato molti like fasulli, sedie vuote e sale deserte nei dibattiti reali (problema comune ai rappresentanti dei movimenti e a quelli dei partiti tradizionali).

La professionalità giornalistica

Superfluo sottolineare come questa situazione abbia favorito la crescita esponenziale di quei partiti o movimenti “nativi digitali” che hanno proposte o progetti politici meno articolati e più facilmente somministrabili sui social e sulla rete; mentre dissangua i serbatoi del tradizionale consenso dei partiti più o meno strutturati. Tralasciando le conseguenze “serie” sulla Politica, andava, ad onore della deontologia, sottolineato che l’urlo demitiano, stavolta, non meritava la levata di scudi in difesa della professionalità giornalistica violata.

La professionalità giornalistica è quotidianamente violentata quando si accettano e si trascrivono dichiarazioni rilasciate senza contraddittorio, magari citando negli articoli la fonte “concorrente” che in questo modo è promossa al grado di fonte “ufficiale”. Così si finisce con il confondere i ruoli e con il minare la credibilità degli interlocutori sia nei confronti del pubblico dei media sia per quei sempre più rari cittadini che vorrebbero seguire un dibattito reale prima di decidere come votare.

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