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Il Napoli e lo scudetto del prossimo anno

È stato un Napoli da record ma ha giocato senza pressioni mentali. C’è entusiasmo per la stagione che verrà. Ce l’hanno già con De Laurentiis. Ma bisogna capire che competere è un gioco nuovo.

Il Napoli e lo scudetto del prossimo anno

La festa di sabato sera

L’aritmetica è arrivata alla penultima giornata. La Juventus è campione d’Italia per la sesta stagione consecutiva. Ventisette anni dopo, il Napoli è stato matematicamente estromesso dalla possibilità di conquistare lo scudetto ad appena 90 minuti dalla fine del torneo. Un dato da non sottovalutare, ma anche da non enfatizzare. Sabato sera a Napoli la stagione della squadra di Sarri si è conclusa tra grandi entusiasmi del pubblico che ha riempito lo stadio San Paolo. I figli dei calciatori sul terreno di gioco, il saluto alle curve, i cori (assurda la mancanza di ‘O surdato ‘nnammurato, vero e insostituibile inno del Napoli), preceduti da quello striscione esposto a inizio partita che – tanto per cambiare – richiamava De Laurentiis alle proprie responsabilità per allestire o non smobilitare la squadra che tutti a Napoli già considerano a un passo dal prossimo scudetto.

Padron’e casa, jesce fore

Appunto, lo scudetto del prossimo anno. Sindrome che, ad esempio, a Roma ben conoscono. Così come a Milano, sponda interista, hanno un palmares zeppo di scudetti assegnati d’estate. Gli ultras hanno già il responsabile in caso di mancata conquista del tricolore. Il principio guida è un famoso detto napoletano: “padron’e casa, jesce fore”. L’uomo che ha consentito al Napoli di raggiungere un livello e una costanza di risultati mai avuti in novant’anni di storia (sì Maradona, ok) viene accusato di essere il principale responsabile della mancata conquista dell’agognato scudetto. Come se il Napoli senza De Laurentiis chissà che cosa avesse combinato.

L’odio nei confronti del genitore De Laurentiis

Sarà De Laurentiis a versare a Insigne i soldi del lauto rinnovo. Così per Mertens, Hamsik. È stato lui, in dieci anni, ad allestire una squadra sempre più competitiva e che negli ultimi sette anni non ha mai fai peggio del quinto posto in campionato. Per non parlare del ranking europeo. Dei conti in regola, senza i quali non sarebbe stato possibile una squadra così competitiva.  Insomma, il principale artefice di questo Napoli è – in nome del principio di deresponsabilizzazione – considerato il nemico numero uno. È l’odio nei confronti del genitore perennemente messo sotto accusa ma senza il quale il figlio sa benissimo di non poter vivere. Tanto più è evidente l’astio per il genitore, tanto più è forte la dipendenza da lui. Perché l’architrave di questo Napoli, piaccia o meno, è Aurelio De Laurentiis.

Sarri è il genitore buono

Ovviamente anche Maurizio Sarri ha tantissimi meriti, possiamo considerarlo l’altro genitore quello benvoluto. Sarri che, per sua stessa ammissione, dopo decenni di gavetta ha avuto l’opportunità di farsi apprezzare dal calcio che conta grazie ad Aurelio De Laurentiis. Ora sono bravi tutti a voler ingaggiare Sarri. Due estati fa, Sarri sarebbe finito alla Sampdoria. Perché nessun presidente ebbe il coraggio di De Laurentiis. Il coraggio di affidare una squadra forte – che anche in quella stagione, senza Reina, senza Allan, senza Hysaj, con un bel po’ di rigori sbagliati, ottenne ottimi risultati – ad un signor nessuno che aveva vinto soltanto una coppa Italia dilettanti. Coraggio che non ebbe Berlusconi al Milan né altri presidenti.

I tanti record battuti

Il Napoli è una squadra molto forte, con un organico molto forte. Il valore della rosa è probabilmente il più alto d’Italia dopo quello della Juventus. Ha un monte ingaggi che sta crescendo di anno in anno. Adesso, dopo questa stagione, a Napoli c’è già entusiasmo per il prossimo campionato. È giusto, è comprensibile, visti i tanti record battuti, gli 83 punti fin qui conquistati, lo straordinario girone di ritorno, l’impressionante macchina da gol. E potremmo continuare: il Napoli ha perduto soltanto quattro partite, ha spesso ridicolizzato gli avversari con una semplicità disarmante. Sempre mostrando un calcio meraviglioso. E sempre col sorriso sulle labbra.

Il Napoli ha giocato senza pressioni

Però bisogna anche riflettere. Il Napoli è stato aritmeticamente in corsa per lo scudetto fino a due giornate dalla fine del campionato. Ma in realtà, mentalmente, non è stato in corsa nemmeno per una giornata. A tirare il Napoli fuori dalla competizione è stato, con ostinazione, il suo allenatore. È stato Maurizio Sarri, sin dalla prima giornata, a escludere il Napoli dalla lotta scudetto. A ogni frase. A ogni esternazione. A ogni intervista. Dal 2-2 di Pescara è stato un disco rotto. E per certi versi lo è ancora. Parla di sogno. Non si lascia ingannare dai soli cinque punti di distacco dalla Juventus che, a onor del vero, ha mollato nelle ultime giornate. Perché la Juventus è una squadra che ha raggiunto l’invidiabile capacità di non sprecare energie. Fa il minimo indispensabile per vincere. Poi, mette il pilota automatico a velocità di crociera.

Non esporre il gruppo a tensioni

Sarri probabilmente si è comportato così perché temeva di esporre il gruppo a troppe tensioni. Il gruppo orfano di Higuain. Quell’Higuain che è stato incredibilmente a lungo presente nelle dichiarazioni di Sarri. Sta di fatto che Sarri ha tirato il Napoli fuori dalla lotta scudetto già ad agosto. Poi il Napoli ha giocato il campionato che ha giocato. C’è stata la scoperta di Milik, l’esplosione di Mertens in un ruolo che sembrava non suo. È stata una meravigliosa intuizione dell’allenatore frutto del lavoro sul campo. Ci sono stati anche momenti difficili, soprattutto per l’inserimento graduale – per alcuni troppi graduale – dei giovani. E, soprattutto, c’è stata l’estasi per il gioco che ha stregato l’Italia – e non solo – calcistica. Che ha premiato Sarri con la panchina d’oro.

L’esperienza acquisita

Sarri ha fatto crescere giocatori giovani di assoluto livello. Come Diawara, Rog, Zielinski. Che il prossimo anno avranno una stagione in più nelle gambe e nella testa e quindi più esperienza. E anche Sarri ha acquisito un anno in più di esperienza. A differenza della prima stagione, stavolta il Napoli ha realmente combattutto su tre fronti. Ha giocato una signora Champions. Si è spinto fino alle semifinali di Coppa Italia. Ed è tuttora in corsa per il secondo posto in campionato. C’è stato un miglioramento evidente dal punto di vista mentale. E, a giudicare dalle pressioni e dall’entusiasmo dell’ambiente, servirà tanto per il prossimo anno.

La novità di giocare per vincere

Perché una cosa è totalizzare 83 o 86 punti giocando però sempre con la mente più o meno libera da pressioni. E un’altra è affrontare un campionato intero con l’idea di vincere. Sono due sport diversi. La leggerezza viene meno. Il Napoli è chiamato la prossima stagione a stare tutto l’anno con la testa all’obiettivo. A competere per un obiettivo. La competizione comporta stress, fasi di down, e ovviamente implica anche la sconfitta. Fin qui il Napoli di Sarri ha potuto contare sulla libertà mentale che Sarri ha difeso con le unghie e con i denti. Il prossimo anno sarà più complesso.

È questo concetto che dovrà essere ripetuto, anche all’ambiente che adesso sembra indissolubilmente legato a questa squadra. Il Napoli di Sarri, questo Napoli, autorizza a sognare. Ma bisogna far comprendere quanto sia più dispendioso scendere in campo con l’obbligo di vincere. Soprattutto per una squadra e una società che non sono allenate a farlo. In una stagione, non dimentichiamolo, che molto probabilmente comincerà con i preliminari di Champions League.

È da salutare positivamente l’inserimento pressoché ufficiale – manca il placet di Sarri – del Napoli nella lotta per lo scudetto del prossimo anno. Ma bisogna essere consapevoli che il Napoli si iscrive a un gioco nuovo.

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