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Insigne e Totti, profeti in patria con un maestro in comune: Zeman

Le maglie, per loro, pesano dieci chili in più. Entranbi hanno scelto di lasciare la loro città e di rischiare di più.

Insigne e Totti, profeti in patria con un maestro in comune: Zeman

 Lorenzo il Magnifico 2.0 

Ci sono storie che sembrano scritte, ma che a volte si complicano col tempo. Come quei grandi amori tanto desiderati e poi persi nel ricordo di qualcosa di bello, che poteva essere ma non è stato. C’è però chi ancora crede nelle favole, e si abbandona all’eterno gusto per la poesia, per la letteratura, e vede poemi e liriche in ogni contesto. Cosi è per Lorenzo Insigne, che per una volta prende la citazione latina scritta a chiare lettere e ne fa mille pezzi: Nemo propheta in patria e chi lo dice? Lui lo è, e vuol esserlo, ergendosi a fondamenta di questo palazzo in piedi da anni, ma che ancora deve ospitare un trofeo importante.

Lui come pochi, come mai nella storia azzurra moderna. Ferrara vinse ma andò alla Juventus. Fabio Cannavaro al Parma. Erano anni diversi, anni difficili. All’orizzonte c’era già il tuffo verso la fine di un’epoca che spalancava le porte al fallimento. Lorenzo invece, è nato nel Napoli rinascimentale, il che riporta al suo soprannome “il Magnifico“. Nel Napoli in cui, come insegna il suo patron, tutto può realizzarsi, con la progettualità e la pazienza.

Un maestro in comune

In Italia, se giriamo le pagine degli album, ci vengono in mente due calciatori, simbolo del calcio nostrano. Tale Alessandro Del Piero ma soprattutto Francesco Totti. Il pupone romano che si è legato a vita alla sua Roma. Ha rinunciato al Real Madrid, pur di difendere i colori della sua città. Totti esordisce in serie A quando Lorenzo ha quasi due anni. E sulla sua strada respira il fumo di quelle sigarette che poi avvolgeranno e plasmeranno anche il folletto di Fratta. La bocca che tira e butta fuori è quella del boemo Zeman. L’uomo che più di tutti, sa distinguere i calciatori di talento al primo sguardo.

Gradoni, corse, ma soprattutto duttilità tattica e l’insegnamento al duro sacrificio che serve a forgiare il carattere. Lorenzo a Foggia e a Pescara esterno nel 4-3-3 incanta e torna a Napoli per restarci. Totti da Roma non si è mai mosso, nemmeno in prestito. Ma ha sofferto quando in panchina sedeva un tale Carlos Bianchi che non ha mai saputo innamorarsi del diez giallorosso. Lui si legò stretto la sciarpa al collo, e si strinse alla piazza perché in testa ribolliva il suo sogno: portare la Roma al terzo scudetto. Questo sogno lo realizzò, segnando al San Paolo quel goal – stoppato di braccia – che risultò essere decisivo.

Chi fa da sè, fa per (il) tre

La sciarpa azzurra. Avrà pensato a questo Insigne quando ha apportato quella firma sul contratto per restare nella storia per sempre, da napoletano. Portando quel numero simbolo della perfezione, il tre, magari guardando in panchina mister Sarri, colui che ha saputo più di tutto far maturare il bimbo di casa. Lorenzo, rinnovando, ha messo d’accordo tutti. Pure quelli che erano pronti a fischiarlo per ogni errore. Perché se giochi nella tua città, la maglia è uno scafandro da palombaro: pesa dieci chili in più. Così come accade al Re de Roma. Ma  l’amore si dimostra anche con gli attributi e se si vuole. Si corre anche con i massi sulle spalle pur di riscattare la cattiva nomea che hanno i profeti in patria.

Un ventiquattro che sa di diez

Lorenzo e Francesco. Due generazioni diverse che abitano lo stesso pianeta. Due attaccanti moderni creati in epoche diverse. Due popolani dalle voci differenti. Francesco ha sulle spalle la numero dieci, simbolo della leadership del football che fu, e guai a chi la tocca; Lorenzo ha la ventiquattro, e mai e poi mai si è sognato di richiedere quel cimelio, anche se, a questo punto, potrebbe essere un’idea quella di concedergliela, un giorno, magari quando il numero tre sarà esposto da Fratta a Pianura, dal Vomero a Mergellina, dal Vesuvio a Posillipo, quando il numero tre verrà a chiudere il capitolo dell’azzardo più bello della sua esistenza.

“Per sempre a Napoli, ma un giorno all’improvviso ho vinto lo scudetto e Diego in persona mi ha consegnato la maglia numero dieci. Ora si che posso dire di appartenere anche io a quella schiera di pochi fuoriclasse, che a calci e a pugni, a tiri a giro, hanno solcato il palcoscenico del trionfo da calciatore-tifoso. Come Francesco sono restato per il tre, e come lui ho avuto ragione, con la dieci sulle spalle.” Probabilmente queste le parole che sogna di pronunciare Lorenzo, quelle che speriamo di sentire a breve.

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