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Il garantismo vale per la borghesia napoletana, non per i contadini di Caivano

L’arresto di 69 tra professionisti e professori universitari ha cambiato l’atteggiamento dei media che invece per la Terra dei fuochi hanno aderito acriticamente alla linea della Procura

Il garantismo vale per la borghesia napoletana, non per i contadini di Caivano

Gli organi di stampa

Nei giorni scorsi le pagine dei giornali locali hanno evidenziato, col solito iniziale clamore giustizialista, l’arresto di 69 esponenti della borghesia imprenditoriale, politica ed universitaria napoletana. Insomma, di uno spaccato di classe dirigente locale. Inusualmente, in seguito, organi di stampa che non hanno mai espresso in casi analoghi, e pensiamo alla Terra dei fuochi,  posizioni garantiste, come Il Mattino o il Corriere del Mezzogiorno, hanno riscoperto la presunzione d’innocenza. Viene il dubbio che la magistratura, questa volta, abbia disturbato il nido di vespe della buona società napoletana che si è subito mobilitata in difesa dei suoi appartenenti.

E qui, in un colpo solo, viene fuori, in tutta evidenza, la principale criticità che ci colpisce: l’inadeguatezza della nostra classe dirigente. Qui le criticità che colpiscono l’intero Paese vengono esacerbate da questa storica inadeguatezza.

La borghesia napoletana e quella milanese

Le radici sono lontane e, a mio modo di vedere, nascono dalla mancata affermazione di una borghesia mercantile ed imprenditoriale (cosa avvenuta nelle signorie del nord), nonché dal massacro della classe dirigente illuminata del 1799 da parte dei sanfedisti borbonici. Qui la borghesia ha preferito adeguarsi allo stile parassitario della nobiltà locale, ha preferito uniformarsi al suo stile di vita con lo scopo di farsi accettare da essa e, ove possibile, entrarvi a fare parte. A modo suo, un sistema di scalata sociale.

Ancora oggi paghiamo questa sciagurata scelta e il borghese imprenditore privato, oltre ad essere una rarità, è guardato quasi con un senso di inferiorità, contrariamente a ciò che avviene altrove. Qui la borghesia ambisce alla laurea, alle carriere pubbliche ed alle professioni, altrove alla produzione.

Il risultato lo si percepisce chiaramente frequentando un qualsiasi circolo “buono” della borghesia napoletana. Oltre gli ormai pochi esponenti superstiti della nobiltà partenopea (che, peraltro, dopo aver perso, negli anni, la gran parte delle loro proprietà terriere, si sono perfettamente conformati alla suddetta borghesia), ci verrà presentato il dr. tal dei tali, l’avvocato tizio, il notaio caio, il magistrato sempronio, il tutto condito da politici e piccoli e grand commis di Stato. Nessuno che produca nulla.

Nel corrispondente circolo milanese, ci verrà presentato il sig. o dr. tal dei tali che ha una impresa metalmeccanica, il sig. o dr. tizio che ha una impresa tessile, il sig. o dr. caio che ha una impresa che produce detersivi, mobili, alimenti, biliardi, giocattoli, liquori, vini, scarpe, elettrodomestici, spugnette, saponette, schiume da barba etc. insomma di tutto quanto utilizziamo nella nostra vita quotidiana e che, nel 99% dei casi, come possiamo verificare anche solo osservando le etichette dei beni che abbiamo in casa, acquistiamo da imprese fuori regione. Loro producono, noi consumiamo. Se fossimo uno Stato autonomo, altro che Grecia!

I pochi imprenditori di livello, anche internazionale, come Aurelio de Laurentiis, tanto per restare nel tema di questa testata, sono addirittura malvisti ed ostracizzati.

Una magistratura che travalica i propri confini

Nessuno che abbia mai riflettuto sul fatto che se non si crea ricchezza producendo beni da vendere, non si possono pagare i servizi pubblici e privati offerti dalla borghesia napoletana? Ad oggi sono pagati col debito o con i soldi dei contribuenti di altre regioni italiane (e non ci lamentiamo, dunque, della nascita dei fenomeni “Salvini”).

Ma torniamo all’origine di questo scritto.

La patologia di una magistratura che travalica i propri compiti sentendosi investita di una funzione moralizzatrice della società (potremmo dire, parafrasando un detto antico, che “castigat incarcerando mores”), di organi di informazione artefici di processi mediatici che portano alla condanna degli inquisiti ben prima che la giustizia faccia il suo corso, un’opinione pubblica giustizialista, sono mali che colpiscono tutto il Paese ma che, come detto, qui assumono aspetti particolari a causa della suddetta specificità locale.

Qui è non solo più che altrove pregnante, ma quasi esclusivo, il rapporto tra quel po’ di imprenditoria locale ed il mondo delle professioni (includendo il mondo universitario) con la spesa pubblica. Il che comporta un perverso intreccio di amicizie, conoscenze, mediazioni, rapporti con la politica e l’amministrazione pubblica da sempre borderline tra il lobbing ed il penale.

La Terra dei fuochi non merita il garantismo

È l’amoralità della borghesia napoletana denunciata su questa stessa testata non molti giorni fa da Sandro Ruotolo. Questo comporta che è sempre necessario creare occasioni di spesa e le migliori occasioni di spesa vengono dalle emergenze, come ha ben dimostrato il terremoto dell’80. E se non ci sono emergenze, bisogna inventarle. Ed ecco che risultano funzionali a questo meccanismo le terre dei fuochi o le Bagnoli.

Nessuno sembrava essersene accorto. Pochissimi, tra cui questa testata, hanno espresso posizioni dubbiose e garantiste su fatti quali i sequestri dei pozzi di Caivano, il processo Resit e, ultimamente, la “bonifica” di Bagnoli, tutte situazioni riconducibili alla logica delle emergenze create ad arte non solo per interesse economico diretto. Magistrati, inquirenti, organi dell’informazione (o, meglio, spesso disinformazione) hanno lucrato carriera, visibilità, audience, “click” (il click baiting), il tutto “monetizzabile” sia pur indirettamente. Poi c’è chi (il mondo delle professioni, anche universitario, e quello imprenditoriale) monetizza direttamente.

Il mondo dell’informazione, in questa situazione, porta tutta intera su di sé la responsabilità di essere elemento imprescindibile nella creazione del brodo di coltura delle emergenze orientando univocamente l’opinione pubblica. La politica, quando non complice, è accondiscendente in quanto dipendente dall’opinione pubblica per il voto e, dunque, per la perpetuazione del suo potere.

Chi è lontano dai circoli che contano

Ora, come detto, è stata colpita la borghesia buona cittadina. È stata colpita dallo stesso organo giudiziario che ha colpito i contadini di Caivano. Per esperienza diretta, colpevoli od innocenti che siano, posso dire che se la vedranno brutta.

Ma i contadini di Caivano, in quanto contadini, sono lontani dai circoli del potere (anche informativo) e pochi, pochissimi (certamente non le testate locali menzionate) hanno alzato il dito per esprimere non dico la loro presunzione di innocenza, ma quantomeno un dubbio, Cipriano Chianese era un imprenditore di livello nazionale, ma era un parvenu, il figlio di un contadino arricchitosi col suo lavoro, lontano dai circoli che contano. Oggi, dopo una indegna (per uno Stato di Diritto) condanna in primo grado, è in cella da otto mesi. Nessuno, se non noi, solo noi, ha espresso un dubbio. Spero gli diano l’occasione di farsi una bella partita a carte con qualcuno dei 69 ultimi arrestati.

Anche il carcere è una livella.

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