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Dalla Federico II a Madrid, ma qui del Napoli non parla nessuno

Il diario del docente di Sociologia per lavoro nella capitale spagnola che ospiterà la sfida di Champions. Una città viva e accogliente, che però non appare in spasmodica attesa.

Dalla Federico II a Madrid, ma qui del Napoli non parla nessuno

Callejon del Mellizo

Madrid. Questa volta il destino ha avuto con me un atteggiamento ammiccante: diverse settimane di studio e ricerca a Madrid proprio nel periodo del doppio confronto tra Napoli e Real. Si aggiungono ulteriori suggestioni a quelle che la capitale spagnola promette di procurarmi.

Certo, l’inizio non sembra dei più incoraggianti per un incallito ed orgoglioso sociologo azzurro. Atterro giovedì scorso e prendo un taxi che dovrà condurmi al mio alloggio, situato a ridosso del barrio La Latina. Risiedo in una strada chiamata “Callejón del Mellizo” – letteralmente “vicolo del gemello” o qualcosa del genere. Quale occasione per stringere un legame di simpatia col tassista lungo l’asse calcistico Napoli-Madrid.

Il tassista snobba José

Provo con l’inglese: “Callejón, like the great football player!”. Ricevo in cambio un gelido silenzio. Capisco all’istante che noi italiani non siamo gli unici a difettare dell’internazionalizzazione tanto – forse spropositatamente – celebrata. Azzardo allora un a dir poco claudicante spagnolo: “Callejón, el jugador de fútbol”. Il tassista continua a guardare impassibile la strada, mi rivolge a malapena uno sguardo laterale. Poi, tra l’infastidito e il noncurante, con una smorfia di sufficienza stampata sulle labbra, mi fa il tipico gesto col braccio – questo sì internazionale – come a dire: seee…una volta era un giocatore! Credo volesse dire che ora, svestita la casacca bianca, l’attaccante iberico non merita nemmeno di essere oggetto di discussione col cliente di un taxi. Napoli – presumibilmente l’Italia – non è forse un lido calcisticamente appetibile nel suo immaginario.

Ferito nell’orgoglio, sento su di me i più gravosi contraccolpi di quel disagio della civiltà, di freudiana cognizione, consolidatosi in secoli di storia dell’Occidente: sono costretto, malvolentieri, a frenare gli istinti aggressivi che vorrei liberare contro chi ha oltraggiato un simbolo della mia comunità calcistica per chiudermi, invece, in un silenzio civile, ma orgoglioso. Non parlerò più per l’intero viaggio.

Forse, mi chiedo all’indomani della partita col Bologna, si è trattato di un oscuro presagio della doppia ingenuità del nostro attaccante che, tra fallo di mano ed espulsione, rischiava di mettere in discussione una partita già vinta dopo pochi minuti.

Madrid è una città accogliente

Di sicuro, però, questa prima interazione in terra spagnola non ha alcun valore esemplificativo. A dispetto del suo tassista misantropo e colmo di tracotanza sportiva, Madrid mi si apre subito come una città accogliente, cordiale, capace di farti sentire a tuo agio. Buona parte dei pur limitati incontri di questi primi giorni – non solo all’Universidad Autonoma, ma un po’ ovunque – è condita da simpatia e predisposizione al dialogo brioso.

In fondo, con la sua abbondanza di locali, di luoghi di socializzazione e di promozione culturale, con una vitalità ed un’effervescenza palpabile e continua nelle sue strade, la capitale spagnola promette di affascinarti da subito.

Non fa così freddo

Ho solo dovuto, in fase iniziale, confrontarmi criticamente con gli avvertimenti di chi mi illustrava la città prima del mio arrivo. Due in particolare: 1) a Madrid fa molto, ma molto freddo, anche se il cielo è sempre limpido; 2) ad ogni angolo della strada ci sono donne pronte a saltarti addosso. In merito al clima, siamo in inverno, non consiglierei di sicuro un tuffo nel Manzanarre – anche per altri motivi, in verità – e ogni tanto c’è qualche folata di vento molto fastidiosa. Ma credo di aver esagerato con i maglioni. “Sarà un freddo caldo”, insomma. Ah, e fino ad ora ho beccato cielo plumbeo e una seppur infrequente pioggerellina finissima, tanto sottile che il mio ombrello si rifiuta – pare per dignità professionale – di averci a che fare.

Per quanto concerne la seconda questione, diciamo che credo di avere lo stesso successo di Callejón con i tassinari madrileni. Sono riuscito al momento – senza faticare più di tanto, in modo naturale, va detto – a rendermi alquanto anonimo. Va da sé che ai miei amici napoletani al mio ritorno racconterò le cose diversamente.

Tanti negozi di gadget del Real

Naturalmente, Madrid appare subito predisposta non solo alla generica vitalità, ma anche al calcio. Con due squadre come l’Atletico ed il Real la cosa non desta scalpore. L’impressione iniziale – soprattutto per quanto riguarda il Real – è quella di un’attenzione consolidata al suo sfruttamento commerciale – per i negozi dedicati, la facilità con cui trovare gadget ufficiali in giro, il modo con cui si gestisce il club, ecc. Forse, però – ma è solo una prima superficiale sensazione, da valutare, confermare o smentire in modo più approfondito – la passione segue forme meno appariscenti agli occhi di un ramingo osservatore esterno: vale a dire, in sintesi, che sembra meno facile orecchiare e notare riferimenti calcistici nella quotidianità più spicciola.

Almeno per me, abituato a sentire passanti qualsiasi – me compreso – discorrere ininterrottamente di calcio e del Napoli in ogni strada partenopea, o in tanti bar, specie in centro, dove non è affatto raro trovare segni evidenti del tifo azzurro appesi alle pareti.

Non esiste una strada maestra per esprimere la passione, sia ben chiaro, ma solo differenti forme, più o meno visibili e intense, non migliori o peggiori. E poi, ripeto, si tratta solo di una prima, molto approssimativa intuizione.

Non c’è un’attesa spasmodica della sfida di Champions

Però, soprattutto, non mi sembra di avvertire in giro un’attesa spasmodica per la prossima partita di Champions League. Parlo nella concreta fisicità quotidiana, negli ambienti del web non saprei. Non so che significato dare alla cosa, e – a dirla tutta – non è che abbia particolari indicatori per suggellare quest’impressione, in verità, se non il fatto che nessuno, ma proprio nessuno, all’Università, nella casa in cui risiedo o altrove ha associato la mia provenienza partenopea all’imminente scontro calcistico. Men che meno il mio tassista di fiducia, ma su questo non avrei avuto dubbi. Beh, può essere un caso fortuito, è chiaro, d’altronde sono qui da pochi giorni e i miei incontri sono stati numericamente esigui.

Io sarei invece sempre ansioso di conoscere l’appartenenza calcistica del mio interlocutore madrileno, per intavolare una chiacchierata sulla partita del 15 febbraio. E non perché si tratti del Real, o perché questo match mi affascini particolarmente. Sarebbe lo stesso per una squadretta bulgara. Perché il calcio puntella relazioni, incontri, emozioni. Altrimenti non varrebbe la pena di studiarlo all’Università o di parlarne sui giornali.

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