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Mondiali 2018: addio Argentina, a Napoli solo bandiere della Polonia

Ovunque, in città, bandiere bianche e rosse. L’Argentina non esiste più. Ai Mondiali Napoli tifa Polonia.

Mondiali 2018: addio Argentina, a Napoli solo bandiere della Polonia

Napoli, 19 giugno 2018

Esco dalla metro, dall’uscita di Montecalvario, fa caldo. Devo salire su, in redazione al Napolista, mi sono messo il bermuda e la polo a mezza manica ma sono sudato lo stesso. Appena sono fuori, mi vibra il cellulare. Una notifica di FaceApp, la nuova grande invenzione di quel furbacchione di Zuckerberg. Che ha acquistato WhatsApp, l’ha unito a Facebook, ora ha il monopolio assoluto e mondiale della messaggeria istantanea. Non si può comunicare se non passando dalla sua azienda, praticamente. È il mio amico Gianluigi Trapani, mi sta aspettando in redazione. Nel frattempo, mi manda una foto. Questa sotto. Il testo, in allegato, è criptico: “Camminando, alza la testa. Te l’avevo detto, io…”.

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Non capisco, sinceramente. L’Argentina, nell’ottobre del 2016, ha perso in casa contro il Paraguay, ci sono dei commenti sotto. Esticazzi, penso io a distanza di quasi due anni. Gianluigi deve aver sbagliato pillola, stamattina, glielo scrivo. Anche perché alla fine l’Argentina ci è andata ai Mondiali, l’altro ieri ha vinto 3-0 contro l’Iran. Hanno segnato Dybala, Icardi e Chavez, quello che una volta sul Napolista dicemmo che avrebbe fatto comodo al Napoli. Oggi, che gioca nella Real Sociedad, si dice che De Laurentiis sia davvero interessato a lui. La preveggenza del Napolista.

Oggi gioca l’Italia. L’Italia di Ventura, che allo spareggio ha faticato da matti contro il Montenegro e poi è riuscita a passare. Il gol decisivo, all’84esimo del secondo tempo del match di Pogdorica, l’ha segnato Insigne. Un tiro a giro, ovviamente. Napoli si è scatenata, quella sera. Qualche carosello, addirittura. Pochi ma buoni, verrebbe da dire. Comunque, siamo arrivati ai Mondiali per il rotto della cuffia. Il sorteggio ci ha messo di fronte alla Polonia per la prima partita, giochiamo oggi. Milik e Zielinski ci sono, sono titolari. Hanno fatto decisamente bene in queste prime due stagioni al Napoli, il mio vicino di casa che vende le magliette false fuori al San Paolo dice che vanno a ruba quelle di loro due. Il 99 di Arkadiusz, il 20 di Pietro. Li chiamano per nome, i tifosi. Solo che, come mi spiega il mio vicino di casa, dicono Arkadiusz pure con la “sc” finale «pecché te regne a vocca,  è straniero, è bello, è importante». Poi dicono Pietro, perché Piotr «non lo sanno dire». I misteri della fonetica napoletana.

Dopo l’uscita di Montecalvario, vado a destra. Di fronte a me, sui balconi, cerco le bandiere. Lo faccio sempre durante i Mondiali o gli Europei, a Napoli ed ovunque mi trovi. Mi piace capire quanto e verso chi la gente sia attaccata durante queste manifestazioni calcistiche così importanti. Qui, nei Quartieri, quattro anni fa c’erano un sacco di bandiere dell’Argentina. I tifosi del Napoli hanno sempre detto che il napoletano vero tifa per l’Argentina, so’ tali e quali a noi, c’amma fa cu sta Italia, dal ’61 fratelli di nessuno e cose così. Io non giudico l’attaccamento alla Nazionale italiana e all’Italia nazione, ognuno fa quello che vuole. Era un po’ che dissentivo da questo attaccamento all’Argentina. Saranno pure simili, ma solo che mi pareva una cosa legata troppo e ancora troppo a Maradona, a Italia 90, a cose così. A Higuain, in seconda battuta.

Sarà la stessa cosa oggi, penso io mentre cammino verso Portacarrese. Napoli è fedele, Quartieri equamente divisi o quasi, un po’ Italia e un po’ Argentina. Alzo la testa. Tricolore, tricolore, tricolore, bandiera bianca e rossa, tricolore, bianca e rossa, bianca e rossa, rossa e bianca. Qualcosa non torna, qualcuno ha messo la bandiera storta. Un’associazione di pensiero veloce mi fa capire che è solo un errore di posizionamento: a meno che in quel vascio non ci sia l’ambasciata indonesiana, volevano mettere pure loro la bandiera polacca e l’hanno messa sottosopra. La Polonia che colonizza i Quartieri. I Quartieri che tifano per la Polonia. Milik e Zielinski come Maradona ormai 30 anni dopo.

È strano, fa strano. Non mi era mai successo se non a Via Duomo, la sede del consolato dove una volta la badante di mia nonna, la signora Svetlana, mi ha chiesto di accompagnarla. Lei è uno dei pochi casi di polacca, a Napoli, che è veramente polacca. Nel mio quartiere, l’est Europa non esiste. So tutti polacche. Ucraine, azere, montenegrine, russe. Persino qualche rumena, che si vede che è rumena perché è scura, i capelli nerissimi, la pelle olivastra, dicono che è della Polonia.

Ripensandoci ora, qualche mese fa il mio vicino di casa (l’abusivo, quello che vende le maglie fuori al San Paolo) mi aveva detto che aveva fatto un grande ordine di bandiere bianche e rosse. Io gli avevo detto che bianche e rosse potevano essere pure indonesiane, lui mi ha risposto dicendo “Eh?”. Intanto, al di là dei colori, ora mi spiego perché abbia fatto questo ordinativo. Ora mi spiego pure perché ho visto un sacco di immaginette di Wojtyla accanto oppure addirittura al posto di quelle del Papa argentino di adesso; ora mi spiego perché su Telelibera, ogni sera, Gigione e Jo Donatello insistono per mettere in onda il video di Caro Papa, dedicata a Giovanni Paolo II, piuttosto che quella per Papa Francesco; ora mi spiego perché un sacco di signore nel palazzo di mia nonna si sono fatte tutte quante i capelli rossi, di quel rosso che va più nell’arancione. O meglio, questa ultima cosa me la spiego anche con questo: diciamo pure che Assunta la parrucchiera ha sbagliato un po’ con le nuance delle tinte, me l’ha confessato privatamente e mi ha detto di non dirlo a nessuno.

Avrei dovuto cogliere questi segnali. Higuain e Maradona non ci sono più, l’essenza dell’argentino che è simile al napoletano è scomparsa. Napoli, ora, si sente polacca. Si è sentita ancora più polacca dal giorno dopo l’infortunio di Milik, ormai quasi due anni fa. Si fece male a ottobre, con la nazionale. Tornò a febbraio. Quando segnò il primo gol dopo l’infortunio era Napoli-Atalanta, che fu la sua ultima partita giocata all’andata. Ho visto un sacco di gente piangere commossa, quel giorno, al San Paolo. Comunque, da lì in poi, è stata una continua e progressiva polacchizzazione. Ho visto ragazzini delle superiori condividere post con le foto di Solidarnosc, scrivendo che scoprirlo oggi non vuol dire sminuire il valore della musica della band; ho visto Boniek e Kozminski essere continuamente ospitati a Canale 9, Canale 21 e altre tv campane (che poi Kozminski ha giocato nell’Udinese e nel Brescia, voglio capire che ci azzecca); ho sentito di un sacco di gente che si è andata a fare il viaggetto invernale a Varsavia. Alcuni, i miei amici più attaccati al culto delle belle donne, non sono più tornati. Ho visto aprire a via Bausan, al posto del ristorante argentino, una taverna che si chiama Zurek e Borsc. Ho chiesto dentro, al proprietario. Si chiama Gennaro, è della Pignasecca. Dice che sono i piatti della cucina del momento, quella polacca. Il sabato è sempre pieno, ci sta un fieto di cipolla che è qualcosa di indicibile. Non mi spiego come faccia a essere pieno.

Salgo Portacarrese, la stessa situazione sui balconi in salita. Tre bandiere italiane, due polacche e un’indonesiana. Basta il pensiero, mi dico.

Non immagino stasera cosa succederà, con Insigne che forse va in panchina (Eder e Pellé giocano insieme nella seconda divisione tedesca, nel Braunschweig, ma sono ancora loro i maestri del 3-5-2) e dall’altra parte due giocatori del Napoli titolari. Entro nella redazione. Gianluigi mi aspetta, indossa una polo rossa e un pinocchietto bianco. Lo guardo, sorrido. Capisce. “È un caso”, mi dice. Sì, come no. 

Poi dice la stessa cosa che mi ha scritto. “Hai alzato la testa, te l’avevo detto…”.

Un giorno, qualche tempo fa, effettivamente mi disse che Napoli sarebbe diventata polacca rinnegando e dimenticando l’Argentina. Vedrai, poi attaccò a parlare. “Banderuolismo post-Higuain, dimenticheremo tutto il nostro amore pure per il Pampa Sosa”, mi disse. “Saremo una succursale passionale di Varsavia, un gemellaggio caldo di Cracovia”, aggiunse. “Pomigliano, dove c’era l’Alfasud, sarà la nostra Slesia”, concluse.

Teneva ragione lui, poi mi rendo conto che è vestito da bandiera dell’Indonesia. Glielo dico che ha sbagliato l’abbinamento, lui mi risponde sibilando un “Cazzo…”. Poi capisce di aver smentito il sé stesso di pochi minuti fa. 

“È un caso”. Sì, come no. 

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