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Carolina Morace: «Troppi allenatori uomini nel calcio femminile»

L’ex calciatrice e allenatrice: «Tavecchio ha fatto tanto ma ancora non si riesce a far capire ai presidenti che il calcio femminile è un business

Carolina Morace: «Troppi allenatori uomini nel calcio femminile»

«Ci sono poche donne allenatrici»

Carolina Morace, grande giocatrice di calcio, stella della Nazionale e anche ex allenatrice, dice cose interessanti sullo stato del calcio femminile in Italia in un’intervista al sito news.superscommesse.it.

Morace definisce Tavecchio, il numero uno della Federcalcio, «l’unico presidente ad aver fatto qualcosa per il calcio femminile. È chiaro che poi queste idee devono essere supportate da tutto il resto. Per fare qualcosa c’è bisogno di un progetto serio. Purtroppo vedo poche allenatrici donne coinvolte e questo non è un vantaggio perché chi conosce il calcio femminile sono proprio le ex giocatrici che hanno il patentino e che conoscono il livello del calcio femminile in Europa e nel mondo. La Germania ha la squadra più forte ed ha impegnato tutte le le ex giocatrici».

«Troppi uomini in panchina»

«Il maggior interesse che si sta creando adesso attorno al calcio femminile sta avvicinando diversi pseudo allenatori che non sono riusciti nel maschile e che trovano spazio nel femminile. Il segnale di impiegare sempre uomini come allenatori non è molto positivo, anche perché a volte sono degli emeriti sconosciuti. Così si rischia di tener lontane giocatrici che hanno vinto, competenti ma che rimangono fuori. Se vogliamo più ragazzine iscritte al calcio femminile dobbiamo dare più opportunità di lavoro ma se queste opportunità poi vengono affidate a uomini, pronti ad allenare anche nel femminile, allora diventa più complicato.

«Entrano allenatori che non sono all’altezza come e quanto le allenatrici che oggi giorno sono fuori. E ovviamente non mi riferisco a me perché ci sono diverse ex giocatrici di livello con tanti anni di esperienza e tante presenze in Nazionale che sono fuori. Ci vuole rispetto e professionalità nei confronti di chi ha fatto e vinto qualcosa».

Il modello tedesco

Morace spiega perché è difficile adottare in Italia il modello tedesco: «È facile dire che vogliamo che le ragazze si iscrivano, ma poi dobbiamo dargli opportunità future anche una volta conclusa la carriera sul campo. Io ho smesso di giocare a 35 anni, ed ero avvocato, iniziando quindi una professione nuova. Perché, allora, una dovrebbe scegliere di giocare a calcio fino a 35 anni se tanto dopo sa che andrà a fare un’altra cosa? Non è un caso che nella finale delle Olimpiadi (Germania-Svezia ndr) c’erano due allenatrici donne in panchina, Silvia Neid e Pia Sundhage, tutte due ex giocatrici di livello. Inoltre, per promuovere il calcio femminile, così come quello maschile, non c’è bisogno di vederlo nelle scuole, bensì di vederlo adottato dalle società, come accade in tutta Italia con qualsiasi sport. Tavecchio ha fatto benissimo in questo senso.

«Qualcosina in più poteva essere fatto, come magari invitare i presidenti delle varie squadre femminili come Psg, Arsenal, Manchester United e chiedere cosa ci avessero guadagnato nel fare il calcio femminile. Perché è chiaro che ai presidenti della Serie A maschile bisogna far capire che con il femminile ci possono guadagnare. Sono tanti gli sponsor legati al mondo delle donne che potrebbero entrare per sponsorizzare le squadre femminili. L’importante rimane creare opportunità di lavoro per le donne, così come accade in America. Noi abbiamo una persona come Elisabetta Vignotto, che prima di me è stata la più grande, che è fuori dal calcio femminile: chi vince e chi ha un passato merita rispetto.

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