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Compagnone sul Corriere spiegò a Diego che per lui non poteva esistere privacy

Lo scrittore napoletano: «Il loro successo negli affari è legato al delirio che sanno suscitare nelle grandi masse».

Compagnone sul Corriere spiegò a Diego che per lui non poteva esistere privacy

Ripubblichiamo il corsivo che Luigi Compagnone scrisse per il Corriere della Sera nei giorni immediatamente successivi alla dichiarazione di Cristiana Sinagra sulla nascita del figlio di Maradona. 

Mio Dio. Maradona ha un figlio! Anche se le analisi accerteranno che è figlio del campione, pietà di quel bambino. Sarà pur sempre un figlio accettato a rigor di analisi. Domenica, quando Diego è entrato in campo, i tifosi gli han gridato: «Sei forte, papà». Un grido di allegria. Di cinica allegria. Ma l’allegria di noi napoletani è quasi sempre cinica. Uno sta nei guai, e noi gli facciamo un evviva collettivo. Un delirante evviva. Non mi faccio maestrino. Anch’io ho delirato per Diego Maradona. Al tempo del mondiale messicano, gli ho dedicato persino dei versetti: pubblicamente. Molti dissero che avevo varcato il segno. E avevano ragione. Ma avevo ragione anch’io. Il calcio è grande e onnipotente, e Diego è il suo profeta negli stadi.

Un profeta che da sabato ha deciso di non parlare più. Ha detto: «Voglio che la mia privacy venga rispettata». A suo tempo, l’ha detto anche Stendhal: «L’inconveniente della pubblica opinione, che d’altra parte assicura la libertà, è che si immischia di ciò che non la riguarda. Di qui, la tristezza dell’America e dell’Inghilterra».

Ma Stendhal ha detto questo più di un secolo e mezzo fa, quando la linea di confine tra pubblico e privato era ancora ben tracciata. Oggi è differente. Oggi il dominio della pubblica opinione fa tutt’uno col privato, arreca gloria e torme di miliardi ai grandi personaggi. Che non possono pretendere il rispetto della loro privacy. Il loro successo negli affari è legato al delirio che sanno suscitare nelle grandi masse. Per essi, pubblico e privato non sono due mondi separati. Per essi la persona viene regredita fatalmente a personaggio, a un modello da rotocalco. E il modello diviene lo sponsor di se stesso, si trasforma in un marchio di fabbrica, si espropria di propria volontà.

Di chi, la colpa? Del singolo individuo o del sistema generale? Ma dire “colpa” presume un’accusa moralistica: che, come tale, si consuma in se stessa e nel vago metafisico.

Di reale, ahimè, non c’è che la pubblica opinione.

Domenica sera, dopo la partita, si è visto sul televisore un Maradona pallido e tirato. Non aveva mai giocato così male. Quando gli hanno chiesto se i guai privati influiscono su un asso del pallone, ha risposto sì.

Caro Diego, senza saperlo hai rinsaldato l’anello tra il pubblico e il privato. Allo stadio c’erano novantamila idolatri. Ai quali tu appartieni tutto intero. te lo dico con affetto: è la tua irreversibile condanna, a cui non hai il diritto di sottrarti. Perché il tuo è un “mondo” che ubbidisce a precise leggi meccaniche. Perciò non chiedere mai per chi si accende il televisore: è per te.   

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