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Romanzo napolista \ La rivoluzione tattica di La Cruz

Quattordicesima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista \ La rivoluzione tattica di La Cruz

E’ lecito credere che nella storia del calcio mondiale Orson Castano sia stato l’unico portiere divenuto titolare, a sedici anni e senza passare per la panchina, a causa dell’eliminazione fisica degli estremi difensori della sua squadra.

Ma di quel duplice portiericidio che insanguinò l’estate tessala del 1953 non seppe nulla nessuno, né insabbiarlo fu cosa difficile, dal momento che l’operazione era stata concepita, e in parte eseguita, da Egeiros Onassis. Orson, come tutti quelli del paese, non dubitò di quanto Onassis andò dicendo in giro, che Aristarkos aveva deciso di restare in Italia, perché il boss di qualche squadra di serie C, vedendolo parare in una partitella in spiaggia, gli aveva offerto documenti italiani e un ingaggio che al portiere del Dinamis, abituato alle vacche magre di Tessaglia, era sembrato irrinunciabile. Certo, Zora per un po’ tenne il muso, indispettita che Aristarkos non si degnasse di farle neanche una telefonata, ma presto anche lei si abituò al fatto che in Tessaglia l’ex numero uno non si sarebbe fatto più vivo. Quanto ad Arpamidis, in paese tutti sapevano che era andato a rinchiudersi in monastero e Onassis altro non ebbe da fare che scrivere all’igumeno, comunicando che il futuro novizio ortodosso, in seguito ad una biasimevole illuminazione, se n’era scappato a Roma per convertirsi al cattolicesimo. In quella lettera Onassis non mancò di calcare i toni, dicendosi fervente religioso e auspicando che un simile miscredente non si facesse mai più vedere nelle terre custodi dell’unica verità cristiana. Le sue parole dovettero essere a tal punto untuose, che l’igumeno gli spedì un’icona del Protomartire, profondendo nella lettera di accompagnamento le sue benedizioni per il nuovo Dinamis, ora che dal suo interno era stato scacciato il tarlo dell’apostasia.

Durante i mesi estivi Reginaldo La Cruz passò le sue serate a bere in continuazione il Cinzano regalatogli da Onassis e in quelle limpide notti, ubriaco, guardando la luna e le stelle dalla veranda di casa, iniziò a meditare radicali cambiamenti tattici per la stagione successiva, in cui il Dinamis avrebbe cercato di ripetere o addirittura migliorare il buon sesto posto dell’anno trascorso. Devo inventare qualcosa, devo scovare qualcosa che neanche un Garbutt sarebbe riuscito a tirar fuori dal cilindro – continuava a ripetersi. Ogni tanto, di mattina, andava al campo sportivo a visionare Castano e gli capitava di incrociare sulla strada la mamma di Orson che recava grossi tegami di moussaka. La Cruz, in quelle settimane di silenzio e cicale, apprezzò la costanza di Orson nell’allenarsi in solitudine, ma quando arrivava al campo, per non fargli montare la testa, ostentava indifferenza agli sforzi del ragazzo e sedeva in panchina sprofondato nei suoi pensieri, con la testa raccolta tra le mani. Pensava ad Aristarkos, al Cinzano per cui l’aveva ucciso, pensava ad Onassis che gli aveva chiesto di inventarsi qualcosa di nuovo e a quale potesse essere questa novità, in rapporto alle limitate qualità dei suoi uomini.

La Cruz si sentiva la coscienza sporca per l’uccisione di Aristarkos, non per l’omicidio in sé, che del resto era l’ennesimo nella sua vita insanguinata, ma perché aveva tolto di mezzo il suo portiere e per questo temeva di riaccostarsi alla divinazione, che per lui era tanto sacra che ora gli pareva empio servirsene, in particolar modo se si trattava di vederci più chiaro nell’assetto della squadra. Ma ad una settimana dalla ripresa della preparazione, sentendosi l’acqua alla gola, Reginaldo decise di fare uno strappo. Era mezzanotte e per scacciare il senso di colpa il mister beveva Cinzano dal collo della bottiglia. Poco più tardi preparò la divinazione a modo suo, scagliando datteri maturi contro il muro e andando a ispezionare da vicino le forme che assumevano le macchie rimaste sull’intonaco. Dopo alcuni minuti, come un pazzo invasato, uscì in strada e svegliò mezzo paese urlando di avere in tasca una prodigiosa soluzione tattica, con un’acutezza di voce che nessuno gli aveva mai sentito.

Quella notte e nei giorni successivi La Cruz declinò ogni richiesta di anticipazioni sul suo nuovo modulo tattico e addirittura pretese da Onassis che alla ripresa degli allenamenti qualche suo uomo vigilasse intorno al campo per tenere la squadra lontana da occhi indiscreti. La mia è un’innovazione tattica di portata rivoluzionaria – disse il vecchio mister, un po’ intontito dal troppo bere – e fino all’esordio in campionato non voglio fughe di notizie. Imporrò assoluto silenzio ai miei uomini pena la radiazione immediata dal Dinamis e consiglio a tutta la rosa di cucirsi la bocca perché quest’anno giocare nel Dinamis significherà giocare in una macchina da gol! La sfrontatezza di La Cruz sulle prime piacque molto ad Onassis, che amava vedere il mister andarsene in giro con le pistole sui fianchi, sparandole grosse e fomentando contagiosi entusiasmi.

Ma quel diavolo di Reginaldo era davvero convinto di avere per le mani una bomba e che restava solo da accendere ben bene la miccia. Il giorno in cui ripresero gli allenamenti, con il campo circondato dagli scagnozzi del presidente, il mister mise in fila i suoi uomini e li passò in rassegna come un generale. Per incattivirli si fermò ogni volta davanti ad uno di loro, raccontando qualche glorioso ricordo dei suoi anni a Napoli, una prodezza di Vojak, un’illuminazione di Sallustro e via dicendo. Ad Orson, pieno di paura al suo esordio assoluto in un allenamento ufficiale da numero uno, raccontò di quando il portiere Cavanna aveva segnato al fascista Ferruccio e Orson gli domandò: “Mister, allora ho licenza di avanzare?” Chiudi il becco, ragazzino! – gli rispose Reginaldo – Chi brucia le tappe può anche rimanere scottato…guarda Aristarkos! Sì, ora gioca in Italia, ma chi ti dice che saprà essere un portiere migliore? E detto questo, deglutì con un fremito della gola.

Quest’anno cambiamo musica! – disse il mister ai suoi uomini – Da voi pretenderò di migliorare il sesto posto dell’anno scorso, che è stato il miglior risultato da quando alleno il Dinamis, e vi dico da ora che non tollererò un piazzamento peggiore, perché siedo su questa panchina da quasi vent’anni e non sopporterei di ricominciare a perdere. Ma è chiaro che una squadra è buona solo se l’allenatore la plasma bene, per cui da oggi studierete la mia rivoluzione tattica e poi starà a voi saperla mettere in pratica. Era arrivato il momento atteso da una settimana e lo stesso Onassis entrò in campo per sentire di cosa si trattava.

Signori! – riattaccò La Cruz – Da quest’anno giocheremo con un nuovo modulo, il 5-5, che potrà diventare 6-4 o 4-6 a seconda di come ogni volta si metterà la partita. Questo modulo è rivoluzionario perché nessuno lo ha mai concepito prima di me e ora il più intelligente di voi mi dirà, a bruciapelo, cosa ha di tanto rivoluzionario. Alzando la mano come se fosse stato a scuola e facendo una faccia strana, si propose Spoudaios, un giovane arruffato con pochi peli sulla lingua, che aveva ereditato la numero dieci di Oinodoulos: “Mister, di rivoluzionario c’è che lei non avrà nulla da ridire quando ci calpesteremo i piedi a vicenda” Stà zitto, testa di cazzo! – lo stroncò La Cruz. Allora si fece avanti Metaxos, il difensore centrale, che per tutti era diventato ‘killer’ da quando, due anni prima, aveva stabilito il record di tredici espulsioni in una sola stagione, ed esclamò: “Ad occhio, direi che è un modulo senza un reparto”. Caro killer, – fece La Cruz, riservandogli ben altro tono – ti confermi il sale della mia difesa! Con il 5-5 stupiremo tutti e cancelleremo ogni punto di riferimento per gli avversari, che quando ci sfideranno perderanno tempo a chiedersi se ce la giochiamo senza difesa, senza centrocampo o senza attacco. Capite? L’unica loro certezza sarà quella di trovare Orson tra i pali, per il resto buio completo!

Onassis, allibito, intervenne senza mezzi termini: “Se non schieri l’attacco come cazzo la mettiamo dentro? E senza difesa come fa questo moccioso a parare tutto?” Il mio modulo, – rispose La Cruz, restando imperturbabile e levando gli occhi al cielo – è una versione radicale del credo calcistico-filosofico impartitomi da Attila Sallustro, secondo il quale il singolo è niente, l’ingranaggio è tutto. Il tutto non è altro che l’insieme delle parti che, se ben oliate tra loro, si condensano in quell’unità che trova il suo simbolo nei colori sociali della squadra. Inoltre azzurro era il Napoli di Sallustro e azzurri, quando le maglie sono pulite, siamo noi. La mia lettura del credo sallustriano è radicale perché esige che ogni singolo, nel farsi parte armoniosa del tutto, sappia anche diventare il singolo che è ogni compagno di altro reparto. Dovrete spolmonarvi sul serio, per cui stabilisco una nuova regola: da oggi chi è un Dinamis non dovrà più fumare, chi non riesce a smettere me lo venga a dire ed io gli farò cambiare idea a calci nel culo. L’alcol è ammesso, perché io per primo credo che l’alcol sia amico del football, di quello pensato e di quello giocato, ed anche in questo, ve lo assicuro, sono più radicale del grande Sallustro!

Mister! – esclamò Metaxos – Ma se noi difensori dovremo saper giocare anche avanti e viceversa, allora il reparto mancante non mancherà veramente! Hai già capito tutto, killer! – gli fece La Cruz sotto gli occhi sempre più scettici di Onassis – Il reparto mancante sarà l’amo a cui far abboccare gli avversari. Quanto più saprete occultarlo, tanto più esso annuncerà la sua presenza, quanto più lo sottrarrete, tanto più esso si affermerà, manderà in crisi gli avversari, li indurrà a raddoppiare le marcature negli spazi vuoti mentre voi sarete già in porta involandovi in un’area sguarnita di difensori. Killer, mi hai già convinto! Ti proclamo responsabile per l’occultamento della difesa! Killer fece due salti di gioia e, sotto lo sguardo orgoglioso di La Cruz, con i palmi delle mani andò a sbarrare gli occhi al compagno di reparto, il toro Pamidis, dicendogli: “Così, Toro, così: devi accecarti, per poter vedere!”

Ora devo raggiungere i miei affari, – fece ad un tratto Onassis chiamandosi il mister in disparte – buon lavoro. Non ho capito dove vuoi arrivare con questa storia dell’occultamento, Reginaldo, ma ti assicuro che l’avvio non mi piace. Hai la mia fiducia come sempre, però sia chiaro fin d’ora: se quest’anno non centri l’obiettivo minimo del sesto posto, gli occultamenti li farà Egeiros Onassis!

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