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Romanzo napolista / La Beretta di La Cruz

Sedicesima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista / La Beretta di La Cruz

Tetrakis, se non vai a letto con il ghiaccio questa gamba non si sgonfia e senza di te, dimmi, come cazzo faccio a far credere agli avversari che stiamo senza ala sinistra? A fine allenamento La Cruz era pieno di entusiasmo misto a impeto puro, sentiva di aver dato la stura al suo progetto e ormai, ebbro di visioni e Cinzano, si era convinto di essere il pilota di un aereo folle e potente. Sei stato il migliore, killer! Eri un fantasma nella tua zona, fottutamente perfetto! Cazzo, Castano! Tua madre ti ha dato due gambe, no? Invece di stare soltanto in porta a bere, in novanta minuti le avrai le palle di andare due o tre volte a centrocampo? E poi tu, Mazzola, scordati il tuo nomignolo reazionario e renditi conto che devi entrare da dietro sugli attaccanti nemici, almeno quanto hai il dovere di buttarla dentro. Ma Mazzola, oltre ad avere trentasette anni, non aveva mai fatto un allenamento così duro, come del resto tutti là in mezzo, e mentre il mister parlava si attaccò al suo ouzo di taglio, annuendo con le orbite degli occhi allucinate.

Quel battesimo del fuoco del modulo 5-5 fu un trauma per tutti e il mister, prima di rompere le righe, mise in chiaro che se Orson quell’anno, per infortunio o per squalifica, fosse mancato dai pali, lui ogni volta avrebbe deciso, un giorno prima della partita, chi mettere in porta tra le riserve o tra i titolari, la stanchezza era tale che nessuno ebbe voglia di fare una grinza.

Alla vigilia dell’esordio, in cui il Dinamis avrebbe ospitato gli eterni nemici dello Sporting Megiston, freschi reduci dalle bastonate dei pastori del Zyras, Reginaldo era simile ad un pazzo che non ammette di essere contraddetto, si presentò al campo di gioco con la preziosa copia della prima edizione tedesca di Essere e tempo, che Sallustro gli aveva regalato prima di non vederlo mai più e, mentre i giocatori rifinivano la seduta di tattica, pretese da loro che ripetessero ad alta voce alcuni passaggi di Heidegger sulla disvelatezza dell’essere, che lui si prodigava ad urlare in continuazione. Attila Sallustro aveva capito l’importanza di questo libro per il football, – esclamò Reginaldo – ma non era giunto a capire che in esso c’è tutto il necessario per una rivoluzione del gioco, del resto se lo avesse capito avrebbe illuminato Garbutt e col cazzo che la Juve si sarebbe presi cinque scudetti di fila!

Onassis, in quel giorno di bilanci sullo stato della squadra alla vigilia del campionato, era al fianco di La Cruz e malsopportava che il mister facesse spolmonare i suoi uomini per ripetere frasi tedesche che nessuno capiva. Reginaldo, non credi di esagerare? – gli chiese il presidente – Insomma, questa merda al limite è roba da Bayern München! Se proprio non puoi fare a meno di questi allenamenti con citazioni, perché non passi almeno a qualcosa di greco, che ne so, un po’ di Platone! Egeiros! – gli fece il mister seccato – Se vuoi un Dinamis con le palle, lasciami fare e poi che ne sai tu di Platone? Quello è l’ideologo di un gioco sulfureo e menzognero, fidati, con Platone non li stendi gli avversari. Platone parla di iperuranio, idee che svolazzano, manichini senza la carne, e allora pensa: se ci metto l’iperuranio in campo, gli avversari ti passano attraverso il costato e neanche te ne accorgi. Tu ci vuoi giocare con undici fottuti fantasmi dell’iperuranio? No, no di certo – sibilò Onassis, incredulo e imbarazzato.

Quella sera Tetrakis, a dispetto del coprifuoco imposto da La Cruz a partire dalle ore diciotto, aspettò la mezzanotte e uscì di casa con quattro tegami vuoti, dirigendosi verso casa di Orson. Bussò alla porta e, come era certo, venne ad aprire la madre del portiere. L’ala sinistra del Dinamis consegnò i tegami alla signora Castano, che lo invitò a trattenersi cinque minuti a bere un bicchierino d’ouzo, mentre Orson dormiva già da un pezzo. Signora Castano, – fece l’ala sinistra – lei mi ha dato moussaka gratis per tutta l’estate solo perché io, con la gamba rotta di fresco da suo figlio, parlassi bene delle sue parate ad Onassis, e gliene sarò grato per sempre. Beh, alla fine, viste le strade che Aristarkos e Arpamidis hanno scelto di prendere, al ragazzo è andata meglio di ogni migliore previsione. Ora comunque lei non deve più sentirsi obbligata nei miei confronti, anche perché, dopo quattro mesi, mi sentirei un verme a chiederle ancora tutta questa dannata moussaka, anche se la rimpiangerò molto perché in Tessaglia non ne ho mai mangiata una migliore. Anzi, sarebbe così gentile da dirmi come fa a darle quel benedetto retrogusto di non so cosa? Spiacente caro, – fece la mamma di Orson – la mia moussaka è unica perché so farla solo io. Vabbé, – si arrese Tetrakis – del resto La Cruz mi ha trovato molto appesantito e mi ha ordinato, fino a giugno, di mangiare meno condimenti e per come conosco il mister, verrà a casa mia a controllare quello che ho nel piatto. Comunque sei stato un ragazzo d’oro! – fece la signora Castano – Sappi che qui la porta è sempre aperta, del resto ora mio figlio giocherà con te. Dimmi un po’, come sono questi nuovi allenamenti? Orson dice che l’allenatore vi sfianca. Beh, signora, – rispose Tetrakis un po’ irritato da quell’osservazione – veramente suo figlio si sfianca più con la bottiglia, del resto i portieri devono stare in porta e i gol in allenamento non valgono neanche. Noialtri abbiamo dato davvero il culo…mi scusi, insomma, ci siamo fatti in quattro per accontentare il mister, che quest’estate si è messo in testa idee nuove, rivoluzionarie. Ma perché, come giocherete? – lo incalzò la signora. Spiacente, – fece Tetrakis – gliel’ha detto suo figlio, tutti noi del Dinamis abbiamo la consegna di tenere la bocca chiusa, tanto domani si ricomincia e lo vedrà lei stessa al campo. Anzi, ora è tardi e devo andare a dormire. Sì, anche Orson si arrabbia se gli chiedo come diavolo è questo nuovo Dinamis, – insisté la signora Castano – ma non capisco cosa cambierebbe se io venissi a sapere qualcosa. Cara signora, ormai non cambierebbe niente, parola di ala sinistra, – notò il giocatore – ma è un fatto di orgoglio e identità, capisce? Ognuno ha il suo spazio di orgoglio e identità, in cui non vuole che altri mettano il naso e sicuramente anche lei, altrimenti me lo racconterebbe il dannato segreto della sua moussaka. E, lasciando la signora Castano con il bicchierino ancora in mano, Tetrakis se ne andò in punta di piedi.

Fottuta ala sinistra, dove cazzo sei stato? Tetrakis, appena svoltato l’angolo di casa sua con la chiave già in mano, fece un salto di terrore, spiazzato dalla domanda perentoria di Reginaldo La Cruz, che, dalla penombra, gli spianò contro la sua Beretta con la velocità dei tempi di Tijuana. D’istinto alzò le braccia in alto e il mister lo incalzò: “Alzi pure le braccia ora, un’ala sinistra che alza le braccia è un coglione a cui il terzino avversario ha già sequestrato il pallone! Ti ho chiesto dove sei stato!” Tetrakis, sembrandogli la situazione difficile ma paradossale, cercò di sdrammatizzare. – Mister, ho pensato di occultare l’ala sinistra perfino da casa sua. – Non sputare su Heidegger, eretico!

Bum! Reginaldo, per farsi prendere sul serio, esplose un colpo in aria e il cane di Tetrakis iniziò ad abbaiare. – Stasera non ho cenato per fare la ronda. Tutti i Dinamis hanno rispettato il coprifuoco tranne tu! Dove cazzo sei stato a dodici ore dall’inizio del campionato?

Bum! Bum! Reginaldo, pieno di Cinzano, continuava a sparare. – Mister, il mio cesso è rotto, ho avuto un attacco di viscere nella notte, lo sa, soffro di digestione, e sono andato a liberarmi nei campi. – Bene, fammi vedere il tuo cesso!

Tetrakis infilò la chiave nella toppa con mano tremante, il mister lo marcava stretto da dietro. Bum! Bum! Prima di entrare, altri due colpi in aria, ormai Reginaldo sparava per principio. Di qui, mister, – fece Tetrakis, verde in faccia – le mostro il cesso. Il giocatore accese la luce del bagno e Reginaldo prima si chinò a un palmo dalla tazza, come se avesse voluto trovare la scritta ‘guasto’, poi scaricò e il gabinetto fece il suo dovere. In un silenzio irreale, mentre l’acqua si ricaricava, il mister mise cinque pallottole nella Beretta poi, dopo una lunga pausa, con un filo di voce disse a Tetrakis: “In ginocchio, testa nel cesso e tavoletta abbassata sulla schiena, altrimenti ti fai male”. Tetrakis eseguì come un automa, non immaginando la possibilità di fare altrimenti. Poi La Cruz uscì dal bagno e tirò la porta, lasciando aperta una fessura da cui fece sporgere la mano sinistra con cui impugnava la pistola. – Mister, mister che cosa vuol fare? Mister! – Voglio dimostrarti che hai detto la verità.

Reginaldo mirò allo sciacquone e poi chinò il volto. Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! E senza aggiungere altro, se ne andò, prendendo a calci il cane che abbaiava.

La stanza da bagno era tutta cocci sparsi e acqua che zampillava dalle tubature. L’ala sinistra rimase per un po’ immobile in quella posizione assurda, indifferente all’acqua, come se La Cruz avesse freddato lui e non lo sciacquone. Poi, stanco del cane che abbaiava come un ossesso, si alzò, andò a calmarlo e chiuse la chiave d’arresto dell’acqua. Che fesso! – si disse l’ala del Dinamis, che in fondo era un grande sportivo – Una scusa più stronza non la potevo inventare. L’ho proprio invitato a nozze per fare il tirassegno! Poi tornò in bagno a vedere lo stato in cui La Cruz lo aveva ridotto e, scrollandosi polvere di intonaco dai capelli, ghignò: “Gran figlio di puttana, perfino il cesso di casa mia mi ha occultato”.

 

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