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Romanzo Napolista / Il ritorno a Napoli, nel giorno della Juventus

Ventesima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo Napolista / Il ritorno a Napoli, nel giorno della Juventus

Saranno trentacinque anni che sparo con la sinistra e quasi altrettanti che alleno il Dinamis. Iniziai a Napoli col pugnale, neanche me ne accorsi che iniziavo a padroneggiarlo con l’altra mano, ma poi i veri progressi li ho fatti qui con l’artiglieria, qui ho imparato a vestire l’arma con la sinistra, mentre davo un vestito alla squadra. E gliene ho dati di vestiti alla squadra, era un bambino col pannolino pieno quando Egeiros me l’affidò. Reginaldo era solo, dalla bottiglia tirava sorsi di Cinzano e ora che aveva deciso di tornare a Napoli per una vacanza, si lasciava cullare dalla risacca dei ricordi, che nelle sabbie mobili della memoria riaffioravano e si inabissavano, cavallo sempre uguale della stessa giostra, futuro anteriore di passati remoti. Mi porto Orson, è nato con la mia rivoluzione tattica il mio portiere, è il patrimonio del mio Dinamis e laggiù respirerà qualcosa che inebriò già me quando sognai di allenare il Napoli.

Nel 1965 il Napoli allenato da Bruno Pesaola era tornato in serie A dopo due anni di purgatorio e alla promozione seguirono colpi sul mercato estivo la cui eco giunse fino in Tessaglia e spinse La Cruz ad ingegnare un piano dei suoi per tornare a vedere il Napoli. Dal Milan giunse Altafini, e poi il colpo di Omar Sivori, che Achille Lauro, presidente onorario, riuscì a prendere dalla Juventus in trattativa privata con Gianni Agnelli, cui offrì oltre ai denari anche la commissione di motori FIAT per due sue navi. – Orson, il 6 febbraio ci sarà Napoli-Juventus e noi ci saremo. – Come, mister? Andare in Italia a febbraio? E il Dinamis chi lo allena? – Ragazzo, sei la bandiera della squadra, ma ti manca ancora qualcosa. Da dieci anni ti insegno l’occultamento del 5-5 e ormai lo insegni anche tu alle nuove leve, ma vedi, l’occultamento è così pervasivo da toccare prima o poi anche la fonte dell’autorità che, per affermarsi, all’occorrenza deve anche sapersi sopprimere. – Mister, dove vuole arrivare?

Il 30 gennaio, durante la partita casalinga contro il Trapeza Galata, Orson sullo 0-0 si appese con le mani alla traversa e iniziò a levare simmetricamente le gambe in avanti, con lentezza e ritmo regolare, noncurante del gioco. La Cruz dopo un paio di minuti iniziò a sbraitare contro di lui dalla panchina, ma Orson pareva sordo, continuava i suoi esercizi come se fosse l’unico sul campo di gioco. Reginaldo allora corse verso di lui scartando l’arbitro e mentre il gioco veniva interrotto, continuando a inveire contro il suo portiere, iniziò a schiaffeggiarlo con la sinistra, mentre Orson opponeva una resistenza fittizia. Agli altri Dinamis occorsero lunghissimi istanti per tarare l’assurdità del quadro e, quando accorsero a dividere i due, Orson era già una maschera di sangue, mentre l’arbitro esibiva il cartellino rosso a La Cruz e chiamava il soccorso sanitario. Dalla tribuna, Onassis era impietrito, ma pensava che il suo allenatore, al di là dell’eclettica esibizione ginnica di Orson, doveva pur averla qualche insopprimibile ragione per tanta sciaguratezza.

Orson Castano fu dichiarato guaribile in un mese, la federazione comminò a La Cruz quattro turni di squalifica. In lacrime da Onassis, Reginaldo chiese e ottenne di allontanarsi per dieci giorni con Orson, insistendo di dover stare un po’ solo col suo portiere per chiarirsi e superare l’accaduto nel superiore interesse della squadra. Orson fu sostituito dall’eterno vice Kostas, mentre Onassis stabiliva che il posto di allenatore restava vacante, sottolineando che la soluzione si prestava ad un’applicazione rigorosa del sistema dell’occultamento.

Tre giorni dopo il portiere e il suo allenatore erano a Napoli. Era il giorno di Napoli-Juventus. Usciti dalla stazione centrale entrarono in un taxi e Reginaldo, calcando ridicolmente l’accento sui suoi fumosi ricordi del napoletano, comandò all’autista di portarli allo stadio del Napoli. Reginaldo aveva messo in conto pochi minuti di tragitto, pensava che il Napoli giocasse ancora al rione Luzzatti, non sapeva che il vecchio stadio era stato bombardato vent’anni prima e quando dal Rettifilo il taxi passò avanti al Maschio angioino e continuò a filare verso Chiaja, prese a bestemmiare contro il tassista. Dove cazzo andate? – gli fece – non mi potete fare fesso con questo giro panoramico, non sono mica un turista del cazzo, io. Portatemi subito al rione Luzzatti! Il tassista, fermo nel traffico, alzò lentamente gli occhi guardando La Cruz nello specchietto. – Ma voi volete andare allo stadio o al rione Luzzatti?

– Allo stadio! E ogni napoletano sa che il Napoli gioca al rione Luzzatti! – Dottò, sono sei anni che il Napoli gioca a Fuorigrotta, non ci siete mai stato al San Paolo? Reginaldo inghiottì penosamente, pensando che ne era passato di tempo, mentre il tassista lo sfotteva. – E chi volevate vedere giocare? Attila Sallustro? Dottò, oggi teniamo Altafini e Sivori! – Questo lo so, perciò sono qui! Perdonatemi, sono trent’anni che non tornavo a Napoli, magari quando arriviamo a questa Fuorigrotta mi lasciate dove posso comprare due biglietti. – Non vi preoccupate, dottò, vi porto da mio cognato che fatica a piazzale Tecchio. Il tassista fermò davanti al bar Debono, dove il cognato stazionava da bagarino. – Peppe, i signori vogliono due biglietti, però tengono le dracme, vai dal giornalista, guarda sul Mattino quanto valgono ‘sti soldi. – Giuà, oggi sta la partita e io sto faticando!

Dal giornalaio andò Giovanni e, tornando col Mattino tra le mani, mentre calcolava un cambio vantaggioso, vide i suoi ospiti uscire dal bar con due bottiglie di Ouzo e Cinzano, inseguiti da un cameriere. Carmine tutto a posto! – urlò Giovanni al cameriere – me la vedo io. Il tassista chiese una cifra molto rotonda comprensiva di taxi, due biglietti di distinti e le bottiglie. La Cruz pagò senza fare una piega e chiese la copia del Mattino per leggere le formazioni sugli spalti.

Mandando giù sorsi di Ouzo e Cinzano, il portiere e l’allenatore del Dinamis si affrettarono verso l’entrata, eccitati dall’ingresso in uno stadio che mai si erano immaginato nel loro peregrinare tra i campi di gioco della Tessaglia. Dalla sommità delle scale sbucarono sulla platea dello stadio, che a due ore dall’inizio era già quasi pieno. Con il sole negli occhi e la testa che girava si fecero largo tra la folla e si misero a sedere, abbandonati allo spettacolo abbacinante dello stadio e della massa, dal cui brusio si levavano di continuo cori netti e cadenzati.

Non sarà mica un tuo parente questo Castano che gioca nella Juve? Reginaldo aveva letto nella formazione bianconera di un omonimo del suo portiere. Che spettacolo, Orson! Trentacinque anni fa Sallustro aveva già capito tutto! Allora giocava all’Arenaccia davanti a qualche migliaio di persone, ma aveva già previsto tutto questo! Attila, ora ci vedo più chiaro nel tuo attualismo! Grazie, Attila! Sono tornato da te! Davanti ai miei occhi ho adesso il tuo attimo redentivo! Reginaldo piangeva ed urlava. Ma il signore sta poco bene? Chiese ad Orson un tipo che masticava un grosso pane imbottito. Se si sente debole, dategli un bel Borghetti. Così Orson e La Cruz provarono il caffè concentrato monouso. Ad Orson piacque così tanto, che gli sembrò di sprecarlo se non lo versava nella bottiglia di Ouzo. Che spettacolo, Orson! Ma te lo immagini? Se trent’anni fa fossi rimasto qui! Con Lauro avevo avviato dei discorsi, c’era una possibilità. Ti immagini, Orson? Varare il modulo dell’occultamento in questo stadio, con gente come Altafini e Sivori. Orson lasciava andare Reginaldo a ruota libera e in silenzio si godeva la vista di quegli spalti sempre più gremiti, mandava giù sorsi di ouzo corretto con caffè Borghetti. Sprofondato nei suoi pensieri, Orson vide il fischio d’inizio senza guardarlo e quando l’orgasmo della folla issò in alto il primo movimento del gioco, d’un colpo si riebbe e pensò che forse sì, forse proprio quello che ora gli luccicava davanti agli occhi era la Rosebud che il suo vecchio gli aveva raccomandato di cercare.

Durante l’intervallo, vuotata la bottiglia, La Cruz biascicò che l’indomani avrebbe a tutti i costi incontrato il Comandante. Sono passati trent’anni, Orson, ma appena mi riconoscerà sarà tutto come allora. Lo vedrai, porterò il Dinamis a Napoli per un’amichevole, iniziamo così e poi vediamo, quando si tratta con il Comandante una cosa tira l’altra. Egeiros mi sarà grato e inizierà a fare affari con il Comandante. E’ un’altra cosa, il Cinzano italiano! Nella Juve di quella stagione militavano giocatori che non avrebbero scritto le pagine immortali della squadra, il Napoli aveva il vento in poppa e quel giorno un gol di Altafini bastò a regolare i bianconeri. Ma Orson e Reginaldo ancor più andarono in visibilio quando Omar Sivori, per irridere il suo ex allenatore Herrera, andò ad allacciarsi la scarpa davanti alla panchina juventina. E’ un genio, Orson! – La Cruz era incontenibile – Questa è l’intelligenza senza tempo che ha preso in ostaggio un uomo e dal modo in cui lo fa agire, lo farà ricordare superiore, per sempre.

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