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’O Surdato ’nnammurato è l’anima di Napoli, Un giorno all’improvviso è da Festivalbar

’O surdato nnammurato è il vero inno del Napoli scelto dai tifosi del Napoli, rispecchia la nostra cultura. Un giorno all’improvviso no

’O Surdato ’nnammurato è l’anima di Napoli, Un giorno all’improvviso è da Festivalbar
Tifosi del Napoli (foto Ciambelli)

Una voce fuori dal coro. Non solo perché stonata, ma sulla carta stampata questo passa in secondo piano. Piuttosto perché, e so di essere in minoranza in questo momento, capisco il fenomeno di “Un giorno all’improvviso” ma non lo condivido. Credo che l’adrenalina del momento stia portando in secondo piano qualcosa di ancor più importante, la tradizione. Quello che di sacro abbiamo in una città come Napoli e che troppo spesso, per seguire le novità, rischiamo di perdere, salvo ritrovarlo tempo dopo grazie a qualche idea illuminata.

Di quale tradizione parlo? ‘O surdato ‘nnammurato, canzone tutto sommato triste, che parla di guerra e di amore, è da decenni il vero inno del Napoli. Vero perché lo hanno scelto i tifosi veri e non è stato imposto né importato. Vero perché, a differenza di tanti cori da stadio, è realmente capace di dare la carica, grazie al ritmo e alla passione con cui è stato composto. Vero perché è una canzone vera. E vero perché è napoletano.

A mio giudizio la chiave è proprio in questo. Napoli è la città che più di tutte identifica (a torto o a ragione, non è questo il luogo per approfondire il tema, ma lo conferma anche il passaggio finale del coro di cui parliamo “difendo la città”) la squadra di calcio con il territorio, vedendo, fin troppo spesso, nei successi in campo un riscatto sociale del quale, vista la grandezza di tanti napoletani nel mondo e nella storia, non si dovrebbe neanche sentire la necessità. Questa città ha una tradizione, una cultura, una lingua. Grazie a queste ha saputo trasformare una canzone d’amore e di solitudine in un inno del popolo. E fa strano sentire, sempre più spesso, un incitamento così trascinante sulle note di una hit del passato che non ha alcun legame con la città e con la squadra.

Com’è stato spiegato magistralmente nelle pagine precedenti, “Un giorno all’improvviso” non è un coro per il Napoli, nasce in ambienti di tifo “particolari” e per questo motivo ha girato l’Italia prima di arrivare qui e radicarsi, con le opportune modifiche (il “difendo la città” di cui sopra). Certo, se la canzone originaria ha vinto un Festivalbar vuol dire che il ritmo è quello giusto, anche se l’essere stata scritta e interpretata da torinesi doc non suona (appunto…) benissimo. Ci sono esempi nel passato di tormentoni che hanno segnato importanti eventi sportivi, basti pensare al “po po ro po po po po” del Mondiale 2006, nato sulle note di “Seven Nation Army” dei The White Stripes, che non ha comunque soppiantato l’inno di Mameli. Ma anche al tentativo di imporre fino a pochi mesi fa, proprio al San Paolo, un coro nel quale si parlava di tutto tranne che di calcio (ricordate “In un mondo che” di ispirazione battistiana?). Questo perché l’origine dei cori, troppo spesso, non è più quella spontanea e legata alla tradizione vera di un popolo.

Quella tradizione, invece, proprio a Napoli è forte e radicata e non va abbandonata. La città troppo spesso ha lasciato per strada pezzi della sua cultura, che rappresenta in realtà la sua vera forza. Basti pensare a quanto sia ridotta la conoscenza della lingua napoletana da parte dei giovani e anche di molti più in là con gli anni, che si sono fatti trascinare, col tempo, dal concetto del “parlare bene” (come se in napoletano si parlasse male…), ottenendo come unico risultato quello di dimenticare anche come si scrive una delle lingue più complete e complesse d’Europa. Riportare al San Paolo, con forza e con passione, un coro nato dalla vera anima della città sarebbe il modo migliore per far sì che l’identificazione tra città e squadra di calcio possa avere realmente un lato positivo. E un giorno, magari all’improvviso, riscopriremo anche la nostra lingua.

Tratto da “Un giorno all’improvviso” di Rosario Bianco e Danilo Iervolino, Rogiosi editore, 2016

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