Una buddista a Napoli, il suo rapporto con le urla e con il silenzio.
Chitra Aluthwatta è accompagnatrice interculturale Migrantour Napoli
L’Italia. Non sapevo niente dell’Italia, non mi ero mai fatta domande. Dove sta? Quale Dio prega? Come sono le case? Cosa si mangia in Italia? … Non me lo ero mai chiesta. E neppure immaginavo che la prima domanda, una volta qui, sarebbe stata: perché la gente parla ad alta voce per strada?
Avevo 23 anni. Ero arrivata a Roma con l’uomo che ho incontrato a Kandy, la mia città natale nello Sri Lanka, e che ho sposato. Prima di andare a Napoli, la città in cui andavamo a vivere, mio marito voleva farmi vedere la capitale: è bella, diceva, ti piacerà. Di quel giorno ricordo le voci delle persone per strada all’improvviso. Parlavano tutti ad alta voce. Ricordo che mi sono spaventata. Perché parlano così forte? Cosa sta succedendo? Stanno litigando? chiedevo a mio marito. Lui si è messo a ridere e mi ha spiegato che parlavano, parlavano e basta, che era normale parlare con quel tono di voce. Ma io non lo sapevo. Io ero abituata al silenzio delle strade a Kandy, al nostro parlare sottovoce che è quasi un sussurrare al confronto.
Da 20 anni vivo a Napoli e mi capita spesso di cercare il silenzio. Il silenzio mi permette di sentire il mio respiro, ascoltare il mio pensiero e trovarmi o ritrovarmi quando sono stanca o anche solo ne ho bisogno. Lo facevo quando andavo al tempio di Kandy o quando passeggiavo da sola lungo le rive del fiume Maaveli. E lo faccio a Napoli. Mi guardo un poco in giro e trovo un luogo di silenzio: mi infilo in una chiesa. Napoli ne ha tante, ovunque, in ogni strada, in ogni vicolo, ce n’è una sempre anche quando non te lo aspetti. Apro il portone e mi siedo sulla panca. E ascolto il mio respiro, il mio pensiero e mi ritrovo. Sì. Io buddista ritrovo me stessa in una chiesa cattolica.
Può sembrare strano, ma non a Napoli.
A Napoli succede.