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Fu Amadei a inventare i ritiri del Napoli, gli azzurri tra Campobasso e Agerola

La storia dei ritiri del Napoli. Da Amadei a Pesaola, con Annibale Frossi che preferiva il Vomero. Storie di un altro calcio.

Fu Amadei a inventare i ritiri del Napoli, gli azzurri tra Campobasso e Agerola
Il Napoli di Pesaola in ritiro a L’Aquila

Lo chiamavano il “fornaretto” perché il padre faceva il panettiere in uno dei quartieri più popolani di Frascati, lui si chiamava Amedeo Amadei e pare sia stato l’inventore del ritiro moderno, quello inteso come preparazione alla nuova stagione, quello in cui sudi e fatichi, corri e vai in apnea, passeggi per i boschi e vai a nanna presto. Quello, insomma, in cui inizi a diventare e a pensare da “squadra”. Sappiamo quanto il giocatore capitolino abbia legato il suo nome al Napoli da giocatore in alcune delle stagioni più belle ed esplosive del Ciuccio la cui squadra “il Vomero faceva impazzire”. Nel bene e nel male. Una polveriera, un catino, si fa fatica a trovare altre parole quando la gara la si vedeva dai balconi, i tifosi ti alitavano addosso e la voce dei supporter diventava assordante. E poi nuova vita, Amadei fu allenatore. A 35 anni appese le classiche scarpette al chiodo e subito Lauro gli conferì l’incarico di coach della squadra. Era l’estate del 1956 e il neo condottiero scelse Campobasso come sede del ritiro del Napoli aprendo la strada ad una serie di appuntamenti che gravitavano non lontano dalla città. È vero che anche Garbutt aveva scelto, tra gli anni ’20 ed i ’30, un luogo come Santa Agata sui Due Golfi per preparare i giocatori alla nuova stagione ma all’epoca non si parlava né di ritiri né di romitaggio ma di semplici allenamenti. Piuttosto si doveva stare attenti a chiudere a chiave le stanze di Sallustro e Colombari il cui fascino di atleti prestanti era ben noto al pubblico femminile.

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Amadei al San Paolo, con Achille Lauro

Nel 1956, per il suo primo esperimento, Amadei scelse la località molisana, altezza 786 metri, ma la squadra deluse non andando oltre un undicesimo posto. L’anno dopo, chissà quanto scaramantico fosse diventato l’allenatore di Frascati, cambiò e per due anni consecutivi scelse Rieti, 405 metri sul livello del mare, anche questa non lontano da Napoli. Nel 1957 centrò il quarto posto e Bugatti fece un campionato superlativo vincendo il prestigioso premio Combi. L’anno dopo, stesso luogo, stresso albergo, il “Quattro stagioni”, ma settimo posto finale per le tensioni interne che ebbero ripercussioni sul rendimento della squadra. Dunque, dopo il Molise, l’alto Lazio prima di fare un ritiro, nel 1959, addirittura a Napoli. Fu Frossi, detto il “dottor Sottile”, a rinunciare all’esperienza fuori regione ed avviò la preparazione pre campionato al “Collana”. Purtroppo, quando si inizia col piede storto si finisce ancora peggio. L’essere rimasti in città non fece bene al Napoli, la squadra doveva muoversi e cercare pace e concentrazione altrove, non al Vomero. Frossi durò solo quattro partite, poi Achille Lauro fece il coup de theatre e richiamò Amadei ed assunse uno psicanalista, il professor Ammendola al quale i giocatore raccontavano fesserie invece di farsi “analizzare”. Sembrò un film comico della commedia all’italiana degli anni cinquanta più che una stagione di una squadra in difficoltà. Si finì tredicesimi e forse lo psicanalista davvero non serviva, bisognava avere muscoli e concentrazione, correre più degli altri e buttarla dentro.

Nel 1960, il confermato, nonostante tutto, Amadei scelse Sulmona. È l’anno delle Olimpiadi di Roma, l’ltalia ha vissuto un’estate fantastica con campioni e campioncini in erba, quelli che mancarono al Napoli che, nonostante Gratton, Pivatelli e Tacchi, precipitò in serie B con un altro tragicomico finale, quello di Cesarini consulente e Sallustro a cercare di salvare l’agonizzante squadra dal baratro. Solo nel 1961 il Napoli seguì il trend delle squadre più titolate e spostò il suo ritiro in Friuli, a Tarcento, con Fioravante Baldi da allenatore. Un luogo situato a soli 230 metri sul livello del mare, quindi poco adatto ad un romitaggio e giocatori che sfruttavano il campo dell’oratorio per gli allenamenti, altro che strutture “al passo coi tempi”. Anche qui predominava il naif e fu solo grazie a Pesaola, chiamato in corsa a gennaio, che la squadra-barca si raddrizzò e conquistò la sua prima Coppa Italia.

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Il Napoli in ritiro ad Agerola

Il mese dopo il “trionfo” romano, con la coppa in bacheca, il Napoli e il Petisso, insieme a Monzeglio, scelsero Agerola, patria di provole e fior di latte, pare su suggerimento di alcuni amici che ne elogiarono il clima ed i boschi per le passeggiate rigeneratrici. Fu la prima stagione di Canè ma fu un disastro annunciato per la politica “sparagnina” della società. Ci si allenava su un campo di patate e si fece addirittura la “battaglia dei reingaggi”. Alla fine Ronzon firma un contratto di 5 milioni di lire e Greco uno da 500mila lire. Canè ne prenderà 4 e mezzo. Si parlò di doping, fu lanciata una bomba carta sotto la panchina di Monzeglio e l’invasione di campo col Modena al San Paolo. Reti delle porte divelte, lacrimogeni, camionette della polizia, fumogeni e spalti troncati nel mezzo. Fu retrocessione anche qui. Nel 1963 il Napoli riconfermò la vecchia idea dello stare vicino a casa e scelse Avezzano, pare consigliata dal neo allenatore Bob Lerici. Si utilizzava addirittura la palestra del locale Liceo Scientifico per la parte atletica della preparazione e lo stadio dei Marsi per gli altri tipi di allenamento. Ottavo posto ma in serie B. Poi finalmente la svolta, quella che ancora oggi ricordiamo come il Napoli di Sivori e Altafini, quando la squadra andò per tre anni consecutivi a L’Aquila, dal 1964 al 1966, una scelta personale di Pesaola che sapeva tenere il gruppo in modo fantastico. In realtà nel 64-5 i due fuoriclasse sudamericani non c’erano ancora ma gli azzurri disputarono una grande stagione che li portò, dopo la gara di Parma, diritti in serie A. Visto che aveva portato bene la località, anche per il clima e l’ambiente, la cittadina fu riconfermata per tre anni. I giocatori erano soliti attraversare il centro a piedi facendo lunghe passeggiate in un clima gioioso e goliardico.

Dunque ricapitolando, il Napoli dal 1956 al 1966, in undici anni di ritiro, solo una volta, nel 1961 a Tarcento, si allontanò dalla città in modo rilevante, tutti gli altri romitaggi furono divisi tra Abruzzi ( Sulmona, Avezzano e L’Aquila ), Campania ( Napoli ed Agerola ), Molise ( Campobasso ) e Lazio ( Rieti ). Risultati alterni, un pò di Serie B, la promozione definitiva in Serie A e poi le prime due stagioni esaltanti del Cabezon Sivori e di Core ‘ngrato Altafini. Che volete, solo sono numeri. (Foto Archivio Morgera)

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