Diciamo la verità, per quel che vale, Matteo Renzi non è che abbia fatto questo gran piacere a Valeria Valente paragonandola a Beppe Bruscolotti (“A Napoli si ricordano quanto fu decisivo”). Ovviamente nulla sarebbe cambiato nemmeno se l’avesse paragonata, chessò, a Ciccio Romano o ad Albertino Bigon che probabilmente sarebbe stato il nome più azzeccato. Poiché siamo a pochi giorni dal voto e il presidente del Consiglio si è lanciato in ardite metafore calcistiche in un’intervista al direttore del Foglio Claudio Cerasa (Berlusconi-Edmundo, Giachetti-Totti, tanto per dirne due), ci permettiamo sommessamente di consigliare a Renzi, che domani sarà coraggiosamente a Napoli – visti i sondaggi – di evitare il paragone. Non che Bruscolotti non sia la storia e la bandiera del Napoli. Anzi, proprio per questo. Non c’entra nulla con la Valente, tranne che per lo slogan scelto: “cuore e coraggio”. Non sappiamo quale fosse l’intento di Renzi: di elogiare la grinta della candidata, l’attaccamento alla maglia, l’asfissiante marcatura a uomo a dispetto di una tecnica di base certamente non memorabile?
Bruscolotti, che proprio in settimana ha compiuto 65 anni, ha attraversato varie fasi del Napoli, da quello scintillante di Vinicio a quello di Krol, segnò il gol che illuse contro l’Anderlecht nella famosa finale di Coppa delle Coppe, è stato sull’orlo della retrocessione con Pesaola e poi ha vissuto l’età dell’oro. E in questa fase è entrato definitivamente nella storia per aver donato la fascia di capitano a un certo Diego Armando Maradona, per averlo nominato capo dell’esercito in campo e per aver sempre dato tutto sul terreno di gioco. Non ha mai tirato la gamba pal’e fierr. E ha vissuto anche il tramonto, quando finì faccia a terra nel tentativo di bloccare Virdis in quel maledetto primo maggio. Fu quella l’ultima partita di Bruscolotti, col Napoli e non solo. Non giocò più. Insomma, Bruscolotti è la storia del Napoli. Non a caso, è il calciatore che vanta più presenze con la maglia azzurra: 511 in sedici stagioni, sei in più di Antonio Juliano. Ha poco in comune con Valeria Valente. E nemmeno crediamo che lei si sia inorgoglita. Il politico di sinistra napoletano con più presenze è un altro.
Forse, ripetiamo, facendo finta di non guardare i sondaggi, avrebbe potuto citare Albertino Bigon l’allenatore arrivato dal Cesena dopo le insanabili fratture tra la squadra e Ottavio Bianchi. E che vinse incredibilmente uno scudetto soprattutto perché in campo c’erano Careca, Maradona e tanti altri. Meglio sarebbe stato evitare. Diciamo questo come consiglio a Renzi. Altri, meno teneri, potrebbero affiancare nomi meno simbolici della storia del Napoli a Valeria Valente. Ma sarebbero malignità. Peraltro servite su un piatto d’argento da Renzi, ma sempre malignità.