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Grazie Bud Spencer, supereroe della mia infanzia

Grazie Bud Spencer, supereroe della mia infanzia

Da Bambino (già…), per darti una speranza, per darti dei valori da portarti dietro, per proteggerti il più possibile dalle brutture di una vita che non vogliono farti immaginare così dura fin dall’inizio, per chissà quale altro motivo, ti viene raccontato un mondo che non c’è. Un mondo, cioè, dove i cattivi perdono e i brutti vincono. Sempre o quasi. Proprio come quello delle favole.

Non ho ricordi di storie raccontatemi dai miei genitori per farmi addormentare in quelle sere in cui proprio non mi riusciva di chiudere occhio. Ma ricordo nitidamente ogni singolo momento della mia infanzia trascorso con mio padre e mio fratello a guardare tutti i film di Bud Spencer (e Terence Hill – so che normalmente si scriverebbe e leggerebbe tutto attaccato ma a questo giro risulta difficile, perdonatemi). E quando dico tutti intendo proprio TUTTI: visti e rivisti fino a ricordare ogni scena, ogni battuta, ogni particolare. E riderne, di gusto, ogni volta  come fosse la prima, senza stancarsi mai. Perché un bambino (e poi un ragazzo e poi un uomo) non potrebbe mai stancarsi di un personaggio così: grande, grosso, con quella barba che incuteva allo stesso tempo simpatia e timore, che fa giustizia a suon di sganassoni,violenti mai esilaranti sempre. E quasi speravi che il bandito messicano o l’ufficiale corrotto ne combinassero un’altra delle loro, in quella divertente parodia degli “spaghetti western”, per vedere come sarebbe andata a finire. Anche se lo sapevi già: i buoni vincono e i cattivi perdono. Con tanto di ceffone a mano aperta.

Poi ti tocca crescere. E spazio per favole e film ce n’è sempre meno. Perché banditi (messicani o meno) e ufficiali corrotti ci sono anche nella vita vera. Dove a mancare, però, è l’eroe burbero ma buono e tutti i valori che porta(va) con sé. E allora ci resti male: perché ti hanno descritto un mondo che in realtà non esiste, dove gli schiaffi li prendono coloro che non se lo meritano e a dare sganassoni è il destino e non lo sceriffo per sbaglio che fu ladro di cavalli. E, magari, ripensi anche a come sei stato stupido quella volta quando, di fronte a un sacerdote, replicasti la scena del “Sia lodato Gesù Cristo – Perché?” solo per fare il simpatico: con il risultato, invece, di far sbiancare lui e prendere ceffoni (veri) tu da parte di tua madre.

Eppure, nonostante tutto, ancora oggi ogni volta che in tv danno un “Trinità” o “Un nati con la camicia” o un “Non c’è due senza quattro”, non puoi fare a meno di rinviare articoli da scrivere, fidanzate da sentire, amici da incontrare per concederti quelle due ore di pace con il mondo. Che torna a essere quel posto che credevi da bambino e che, inconsciamente, speri sia ancora possibile. Pur sapendo che non sarà così. Ed è per questo che questa notte, in cui non mi riesce di prender sonno proprio come da piccolo, sono un po’ più triste e un po’ più solo. Perché avverto, alla soglia dei trent’anni, di come un periodo felice (e ingenuo) sia ormai alle spalle. Che, poi, è la stessa sensazione provata il giorno della morte di Senna e del ritiro di Roberto Baggio, Michael Jordan e Kobe Bryant. Con Bud Spencer (o, anche se non soprattutto, Carlo Pedersoli, formidabile napoletano campione di nuoto in una vita precedente a quella che lo ha reso famoso) se ne va un pezzo, l’ultimo, della mia infanzia. Così come quello di quel mondo in cui i cattivi perdono, i buoni vincono e tu riuscivi a farti anche due risate.

Ti sia lieve la terra, Bud fu Carlo. E grazie per avermi mostrato, anche se solo in un film, in che modo mi sarebbe piaciuto vivere. Con la barba lunga, a prendere a schiaffoni tutto ciò che non fosse stato giusto. Proprio come te.    

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