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Giulio Facchi, la vittima sacrificale del processo Terra dei fuochi. La difesa ne chiede l’assoluzione

Giulio Facchi, la vittima sacrificale del processo Terra dei fuochi. La difesa ne chiede l’assoluzione

Procede, presso la V Corte d’Assise del tribunale di Napoli, presidente la dottoressa Adriana Pangia, l’iter del processo noto al pubblico per essere incentrato sugli accadimenti che hanno visto coinvolta la discarica Resit e il suo proprietario, l’avvocato Cipriano Chianese.

Tutto il procedimento si basa sulla mediaticamente nota perizia del consulente tecnico di parte del pm Alessandro Milita, il geologo toscano Giovanni Balestri, esperto in geoscienza aerospaziale, il quale, ricordiamo, ha previsto l’inquinamento totale e definitivo della falda campana per l’anno 2064.

Tale tesi è stata compiutamente rigettata con argomentazioni di carattere tecnico-scientifico non solo dai consulenti di parte della difesa (tra cui ricordo un ingegnere chimico, una chimica industriale e una biologa di grande spessore professionale) ma persino dallo stesso Istituto Superiore della Sanità, nella persona della direttrice Loredana Musmeci nonché dalla stessa Sogesid Spa, società in house del ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare che, per conto del Commissariato di Governo alle bonifiche, ha svolto la caratterizzazione e l’analisi del rischio dell’area Resit non riscontrando alcun problema che comporti la bonifica del sito.

Resta da effettuare la normale “messa in sicurezza” prevista per qualsiasi sito di discarica di rifiuti, bloccata per le vicende giudiziarie che hanno riguardato l’area.

Dopo la veemente requisitoria del pm, con la richiesta di pesanti condanne per i due imputati principali (l’avvocato Chianese e l’ex subcommissario per l’emergenza rifiuti della Campania Giulio Facchi), tocca alla difesa.

Oggi è stata la volta di Giulio Facchi difeso dall’avvocato Maria Alessandra Cangiano. Che ha argomentato con la pacatezza dei toni e una ricostruzione ragionata e ragionevole dei fatti che hanno visto coinvolto il suo assistito; ricostruzione basata, in gran parte, sulla lettura completa del testo di parte delle innumerevoli intercettazioni telefoniche da cui l’accusa aveva estrapolato frasi isolate a supporto delle sue teorie.

Dispiace dover mettere in risalto il fatto che il mondo dell’informazione ha brillato, ancora una volta, per la sua assenza, e questo in una udienza in cui è stata ricostruita una pagina tanto indecorosa quanto importante della storia recente della nostra regione.

L’emergenza rifiuti della Campania è e resterà per sempre una pagina su cui grava la responsabilità politica di chi non seppe mettere un argine alle strumentalizzazioni allarmistiche della popolazione ma, soprattutto, la responsabilità di chi alimentò irresponsabilmente l’allarme sociale precludendo ogni ipotesi di soluzione del problema.

Le conseguenze le paghiamo ancora oggi, dopo 12 anni dai fatti, sia come immagine della Regione che economicamente (in ultimo, multa della Unione europea di 120mila euro al giorno, stanziamento di 450 milioni di euro per trasportare ecoballe in giro per l’Europa).

Giulio Facchi, forte della sua esperienza risolutiva di una analoga crisi dei rifiuti nella provincia di Milano, fu chiamato, dall’allora governatore Bassolino, a svolgere, nel periodo 2001-2004, la funzione di sub-commissario governativo all’emergenza rifiuti. Tre anni, nel caos derivante dall’emergenza e dall’urgenza di togliere i rifiuti dalle strade. Facchi, come ribadito dall’avvocato Cangiano, non nega di aver commesso errori nella sua gestione del commissariato, né potrebbe, visti i risultati, ma se errori vi furono, vanno inquadrati in quel periodo storico e, come detto, alla luce del caos e dell’emergenza ambientale e sociale dell’epoca.

Errori, dunque, sono stati commessi e sono riconosciuti, ma nel processo pare configurarsi l’intenzione di voler trasformare una responsabilità gestionale e politica in una responsabilità penale per dare in pasto all’opinione pubblica un “capro espiatorio” che possa lavarci tutti dalle colpe che portarono, all’epoca, alla crisi rifiuti, colpe diffuse a tutti i livelli: dal cittadino comune ai vertici politici.

Per far questo, si definisce un uomo di suo mite ed armato della sola volontà di aiutare una comunità a risolvere un problema, un “delinquente”, un elemento “organico alla camorra”, lo si trasforma nell’ennesimo “mostro” della terra dei fuochi, considerato un criminale che deve scontare 30 anni, nonostante gip, riesame e cassazione abbiano già respinto le ben cinque richieste di arresto avanzate dal pm e nonostante la solidarietà, espressa pubblicamente sulla stampa nazionale, da Luigi Manconi (già portavoce nazionale dei Verdi), Gianni Francesco Mattioli (già ministro per le Politiche Comunitarie), Edo Ronchi (già ministro dell’Ambiente) e Massimo Scalia (già presidente Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti).

E lui perde amici, lavoro, soldi, affetti, viene isolato, l’atrocità, dice “sta nell’isolamento, nel sentirsi uno che ha una brutta malattia infettiva da cui gli altri vogliono stare lontani”. “È inaccettabile che io sia il mostro, la vittima sacrificale, l’unico istituzionale che verrebbe condannato per la terra dei fuochi, pur essendo venuto per la prima volta a Napoli nel 1999 e pur avendo firmato la prima ordinanza Resit nel 2001”.

È quello che, con efficace immagine, l’avvocato Cangiano ha definito “il macigno che schiaccia la dignità dell’uomo Giulio Facchi”, dignità che gli va restituita con l’assoluzione piena perché “il fatto non sussiste”.

Il 3 giugno si riprende: tocca all’avvocato Stellato, del collegio difensivo dell’avvocato Chianese. La richiesta finale non potrà essere diversa.

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