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Gli arbitri resistono: 650 quelli aggrediti in tutta Italia, ma nessuno si sente di smettere

Gli arbitri resistono: 650 quelli aggrediti in tutta Italia, ma nessuno si sente di smettere

A un certo punto del pezzo pubblicato oggi dal Corriere della Sera, la giornalista Giusi Fasano scrive che quella dell’arbitro è una «vitaccia». Questo, forse, è il momento più amaro di un articolo già di per sé abbastanza inquietante, che tratta di un fenomeno purtroppo in continua crescita: la violenza nei confronti degli arbitri. 

Sono 650 i fischietti aggrediti, in tutta Italia e in tutte le categorie, in ogni stagione calcistica. Un numero elevatissimo, che spinge il presidente Aia Marcello Nicchi a una minaccia in piena regola: «Ci sono società con dirigenti o allenatori che non sono in grado di controllare i nervi, e se a queste società non mandiamo pià gli arbitri le assicuro che smetteranno di giocare il campionato».

Si deve arrivare a questo, purtroppo. Anche perché la situazione è difficile, a tutti i livelli. Nel pezzo, infatti, si racconta di un aggressione solo verbale subita da un arbitro, Giovanni Brugaletta, a un trofeo per esordienti giocato in provincia di Reggio Emilia. 23 anni il direttore di gara, non più di undici i ragazzini in campo. Come detto, tifosi e dirigenti della squadra che avrebbe subito dei torti non sono arrivati alle mani. Però Brugoletta ha sottolineato il tenore degli insulti subiti dagli spalti, con gente che «mi ha urlato quando esci ti ammazzo». 

La storia di Reggio Emilia come esempio recente, ma anche quella un po’ più datata di Luigi De Marco, 40enne costretto a 82 giorni di prognosi a seguito di un calcio nei testicoli arrivatogli da un calciatore ammonito. La loro, come quella di molti colleghi, è però anche e soprattutto una storia di resistenza. Perché nessuno, proprio nessuno, si sente di abbandonare questa strada nonostante le difficoltà e le violenze subite. Come Luigi Rosato, arbitro ragazzino che scosse il mondo del calcio nel 2014, quando dopo una violenta rissa che lo vedeva come protagonista in negativo, scrisse una lettera in cui ringraziava i genitori per «il sostegno che mi hanno dato quando ho deciso di continuare a fare l’arbitro. Perché chi fischia pure nei campi dilettantistici vuol dire rispettare le regole e gli altri». Roba che in molti, evidentemente, hanno dimenticato.

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