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L’impero del Sele: tecnologia e consorzi per difendere i gioielli della terra dalla concorrenza del Nord

L’impero del Sele: tecnologia e consorzi per difendere i gioielli della terra dalla concorrenza del Nord

I numeri contano più delle parole e quelli appena resi noti sull’andamento della economia verde nella piana del Sele inducono a riflettere perché rivelano che un ettaro investito in agricoltura di quarta gamma – quella già pronta per il consumo per la felicità delle massaie (ma è già disponibile la quinta ed è in cantiere la sesta che contiene il tutto pronto) – rende nella Piana un tempo paludosa ed ora fertilissima più di un eguale investimento fatto nell’industria o nelle professioni. Se a questo primato che è simbolo di efficienza e di sfida vinta si aggiunge, poi, l’altro, storico, della mozzarella di bufala, del latte nobile e di tutti gli altri derivati dalla trasformazione dell’oro bianco allora sì che due più due torna a fare quattro. E viene confermata la vocazione imprenditoriale della Piana dove i contadini sono diventati farmer, cioè imprenditori ma, forse, lo erano già prima visto che sono stati loro – pensiamo ai proprietari della tenuta Conforti di Battipaglia – a offrirsi per costruire, prima dell’Unità d’Italia, il ponte sul Sele che ha reso ancora più marcati i vantaggi portati dalla diga di Persano che prosciugò quasi tutti gli acquitrini paludosi nei quali guazzavano le bufale. Avviando così la bella favola di un territorio con oltre 55mila addetti e un fatturato miliardario. Ora, però, bisogna fronteggiare un nuovo pericolo indotto dalla concorrenza delle industrie agroalimentari del settentrione. «Se non si interviene con politiche adeguate – questo è l’allarme lanciato da Guglielmo Noschese, 31 anni ed esperienze di lavoro in giro per il mondo, titolare si un’azienda di 80 dipendenti specializzata in fragole – c’è il rischio di venire colonizzati anche nelle nostre eccellenze, mozzarella di bufala e vino compreso».

E, allora, se le cose stanno così benvenuti nella White Valley che è il fiore all’occhiello della filiera verde ingiustamente ferita a morte dalla campagna mediatica che ha azzerato i campi della cosiddetta terra dei fuochi ancora integri nonostante il devastante inquinamento ambientale conseguenza di un patto scellerato tra organizzazioni criminali, potentati politici e industriali del Nord. Mai stroncato con mezzi adeguati alla gravità dei reati. Oggi i prodotti della Terra dei Fuochi sono ancora al bando nei supermercati del Nord ed europei con un incalcolabile danno economico e di immagine.

Ma torniamo alla white valley, battezzata così dagli inviati del New York Times che giusto trent’anni fa sposarono la causa del cavalier Vincenzo Citro il quale rinunciò ai ricchi mercati d’oltre oceano che chiedevano di pastorizzare il latte impiegato per la lavorazione delle mozzarella: «non lo faremo mai perché cambierebbe il sapore del nostro formaggio». Roba d’altri tempi, il cavalier Citro, che dirigeva il caseificio didattico dell’Istituto professionale, non indietreggiò di un passo e il suo “latticino d’autore” vinse la battaglia con i colossi dell’industria americana. Imponendo un primato che oggi è addirittura mondiale. Grazie, si può dire, al “rendimento” straordinario delle manzette nere che abbiamo incontrato nell’azienda Conforti mentre attendevano con ansia il “battesimo” è del toro. «Per tradizione – dice Gianfranco primogenito del fondatore – preferiamo che i parti avvengano in primavera quando il latte è più richiesto. Papà così ci ha insegnato e così si fa». In questa bellissima fattoria vengono allevati 1150 animali tra asseccatisci – i cuccioli – annutoli – tra dodici e 18 mesi – giovenche e bufale formate. Tutto avviene nel rispetto di regole antiche che si applicano da oltre un secolo e mezzo. Con la chiesetta ancora consacrata e l’altare di pietra addobbato con le spighe di grane in omaggio alla Madonna Nera protettrice del lavoro degli allevatori della Piana. Nell’azienda di ottanta ettari ognuno dei cinque eredi del capostipite – oltre Gianfranco, Luigi, Laura Carolina e Colette – sa bene cosa fare e i risultati sono più che apprezzabili: 25 quintali di latte a ottobre, 40 ad agosto. E tanti progetti per il futuro.

Nello stabilimento del presidente di Confagricoltura campana, Rosario Rago, dominano le serre e le quantità sono ben diverse: qui, a pochi passi dal mare e con la protezione dei monti Alburni, si è insediato il regno della rucola selvatica (ma anche dell’insalatina verde e rosa, dello spinacino, della valeriana e del cavolo rapa) che è pronta tutto l’anno e raggiunge il banco dei supermercati quasi in tempo reale grazie a macchinari ipertecnologici. I Rago sono agricoltori dal 1892, nascono come produttori di grano e coltivatori di tabacco, cioè partono in sordina, poi compiono, con una buona dose di coraggio, il salto di qualità. Da trenta anni i prodotti, rigorosamente biologici, girano il mondo con il marchio Natura e hanno conquistato il terzo posto alle spalle di colossi come Bonduelle e Dimmi di sì. Al centro delle attenzioni c’è un parco verde di 15mila metri quadrati e funziona un centro di compostaggio dove si utilizzano gli scarti della produzione. «Ci sforziamo di massimizzare i risultati, ma con i miei fratelli Antonio e Mariano, curiamo anche il welfare dei nostri dipendenti che hanno a disposizione una moderna palestra e tra poco anche un asilo nido». L’ultima performance è la presenza nel consorzio “Tradizioni italiane” insieme a marchi importanti come Villa Matilde, Olio Basso, Fattorie Garofalo, De Nigris, Strega e Kimbo. «La sede è al Centro direzionale e il presidente viene eletto a rotazione, ora è Francesco De Martino dell’omonimo pastificio».

Ultime due soste, nell’azienda leader nella produzione e commercializzazione delle fragole e in una azienda piccola. Venti ettari, dove si coltivano le albicocche, che qui hanno un habitat ideale, e si produce un olio che ha conquistato una buona fetta di mercato. Nella Piana del Sele il dinamismo produttivo, insomma, è una sorta di marchio di fabbrica, e per questo Guglielmo Noschese, che sembrava essere destinato ad una carriera manageriale dopo la laurea alla Luiss e un master alla Bocconi ha scelto di tornarsene in campagna. «A casa, dice, c’è tanto da fare e il futuro è tutto da costruire. Ancora oggi il 50% delle aziende non arriva a ottomila euro di fatturato». Guglielmo non ha paura di confrontarsi con la concorrenza: renziano di ferro plaude alla politica del premier in favore dei giovani «perché attenua di molto la differenza tra imprenditore e agricoltore», ma boccia il progetto di affitto dei terreni demaniali «dei quali, dice, non si riesce neanche a trovare l’elenco». Il biologico, però, nella piana del Sele è ancora una sfida vincere. «Qui a Battipaglia chiediamo solo di essere aiutati ad essere più forti. Faccio un esempio. Ho finito di montare da otto mesi l’impianto fotovoltaico che mi renderebbe indipendente al 100%, ma non mi danno la corrente elettrica. Gli farò causa e vedremo chi vince».

Ci spostiamo verso l’interno seguendo il corso del fiume Tusciano. È il regno della frutticultura ma, in prospettiva, può incentivare un turismo B&B: «Stiamo lavorando per questo – dicono Ugo Abbagnano e Michele Pannullo dell’azienda Fasanarella – forse debutteremo in estate». Piscina, ristorazione, relax e passeggiate lungo il fiume: la Piana del Sele non finirà mai di stupire. I viaggiatori del Grand Tour, del resto, lo avevano previsto.   

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