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Italo Calvino nella nebbia di piazza Dante: «Per lo scudetto chiedete a Maria la Rossa»

Italo Calvino nella nebbia di piazza Dante: «Per lo scudetto chiedete a Maria la Rossa»

Italo Calvino ha accettato di farsi intervistare solo a patto di incontrarci a piazza Dante in un giorno di nebbia. Al di là di ogni luogo comune, la nebbia a Napoli è difficile da trovare, ma magicamente una fitta e bassa nube ha ricoperto la città e un messaggio sul cellulare, quasi un mezzo di comunicazione obsoleto, mi avvisava di buon’ora che lo scrittore mi aspettava nel luogo stabilito. Dopo un caffè al Mexico, ho cominciato a nuotare in quel vapore denso che mi faceva sentire un pesce fuor d’acqua o almeno in acque straniere, pur essendo in piena madrepatria. In questo insolito scenario, quasi non mi sono sorpreso di trovare Calvino seduto ad un tavolino sgangherato sotto la statua del padre della lingua, mentre faceva scoccare tarocchi tra le dita, posizionandoli uno di seguito all’altro su quello sgabello improvvisato a treppiedi mistico.

Finalmente, temevo di non incontrarla, ehm che mi tirasse un bidone, come, come suol dirsi.

A un appuntamento con Calvino non si tira un bidone.
E la ringrazio, si accomodi pure, facciamo questa chiacchierata, eh, parliamo dunque, raccontiamocela.

Perché ha insistito per trovarci in un giorno come questo? Eppure chi viene a Napoli non rinuncia al suo sole.
Ma vede, la vostra città ha un gran potenziale misterico, ehm che va dileguandosi, direi, nell’incapacità proprio di raccontarcela, così ho pensato che un’atmosfera così insolita potesse donare alla città e a un suo figlio la giusta dimensione di disagio per sbottonarsi.

È necessario un disagio per sbottonarsi?
Mah, sì, direi di sì, nessuno in una posizione comoda decide di essere onestamente diverso da sé e conseguentemente, direi, onesto con sé e con gli altri; questa è una delle leggi non scritte degli scrittori, ovvero essere autobiografici pur non essendolo, in effetti l’umanità ci circonda e ci comprende, possiamo sfuggirvi solo mentendo in maniera onesta.

E perché Piazza Dante?
Nel mio lavoro di ricerca sulle favole italiane, ho potuto facilmente appurare che le streghe hanno una dignità forte nei racconti italiani, e qui, nelle vicinanze di Port’Alba, vive e ha vissuto una strega napoletana che ha stuzzicato la mia curiosità. 

Come si chiamava o si chiama questa strega?
Maria la rossa. La sua storia è in parte popolare e in parte mia invenzione, ehm quasi uno di quei mostri che ci portiamo dentro e che scolpiamo narrando come se fossero le sculture mostruose che dominano Notre-Dame. Maria la rossa era una giovane donna stupenda, d’altronde il colore rosso ha reso le donne che potevano vantarne il segno, ehm senza l’ausilio di profumati trucchi sensuali, uniche e streghe della sensualità, di un tipo incantevole che non lasciava scampo ai suoi sortilegi. Di lei si innamorarono tutti, compreso il Diavolo, ma Maria amava un uomo che viveva oltre la porta della città. Quando Port’Alba fu aperta, i due amanti pensarono di potersi incontrare, ma, ma, ma l’infernale spasimante d’eccezione della rossa bellezza dalla pelle di ceramica si oppose con un sortilegio che impediva ai due di potersi stringere, di potersi trovare l’uno accanto all’altro; in cosa consistesse questo sortilegio è un mistero, d’altronde nessuno si è mai sognato di avere più fantasia del demonio.

Come finisce questa storia?
Con Maria che per le pene d’amore dimagrisce, come dite voi fa il nero sotto agli occhi e caccia le ossa da fuori, cosicché tutti pensarono che fosse una strega, che avesse perso la sua bellezza per quelle strane pratiche da fattucchiera e per la troppa assuefazione al puzzo dello zolfo in alambicchi e ampolle, e la meschina, sì, fu rinchiusa e lasciata morire in una gabbia nel mezzo della piazza. Ma il Diavolo dimostrò d’essere gentiluomo, o gentil demonio, in fin dei conti più sensibile e conoscitore delle debolezze e sofferenze umane che non il Dio tanto amato, e concesse a Maria un dono enorme. 

Quale?
Le diede il potere di saper leggere il passato. 

Mi scusi, ma è il futuro che si legge, non il passato.
Questa è una risposta propria dei tempi indrammatici in cui viviamo: no, è il passato che si legge. Questa città deve rendersene conto, io credo, ehm è il passato che si racconta in tutte le direzioni senza perdere senso, conservando quella sequenza ineluttabile propria della vita. È in effetti un po’ questo che il nostro spirito latino stenta a riconoscere, con le sue passioni invadenti non ci consente di trovare nuovi miti che ci leghino alla realtà, ehm mi è sembrata giusta l’osservazione di Buffa, per esempio, di come noi latini non ci raccontiamo più il calcio se non in una serie illimitata di dati, ehm,e non come soggetto mistico, in particolare direi al sud, non è un caso che un narratore moderno come Paolini non sia di queste parti, ma di luoghi annebbiati e senza la vostra luce che tutto rende insopportabilmente evidente.

I tarocchi con cui gioca hanno un motivo quindi.
Voglio dimostrarle come una sequenza casuale di carte possa descrivere la sua esperienza di tifoso deluso, come possa essere possibile trarne, in ogni direzione, non un insegnamento, ma direi quasi una leggerezza di vita che aiuti a proseguire, è questa la grande potenza del racconto: misteriosa nel suo agire ma comunque in grado di conquistarci, di permetterci, senza insegnamenti particolari. di andare avanti; il racconto è come il vostro sole al tramonto, continua a dare luce, rende chiaro ma non svela niente. Mi creda, meglio così. 

Quali sono queste carte, dunque?
Eccole, come vede ogni carta è doppia nel senso, si contraddice e dona anche dei numeri di molteplici interpretazioni: c’è la lettera o la gita che è anche la sorpresa e la chiamata in giudizio, l’infedeltà è anche la leggerezza e il rischio o la difficoltà, di seguito la patria e la risolutezza, o l’ira e l’amicizia perduta, amante seduzione, disgrazia avviso, infermità grettezza, amicizia progresso e visita ristoro. Con queste carte possiamo leggere tutto il suo passato, mentre attendeva la partita, la sua delusione, la sua rabbia, la sua ripresa emotiva, ehm la sua convinzione che nulla è finito ancora, la sua rinnovata speranza e la nuova tranquillità; oppure possiamo a ritroso partire da tranquillità, speranza, emozione passione e così via dicendo. Qualunque cosa dia vita ad un racconto dà allo stesso tempo vita ad un progetto, ad un sogno, ad una onirica premessa dell’azione, uno stato sano per poter vivere. Il problema è che abbiamo smesso di raccontarcela nel bene e nel male, e facciamo il tifo per le città e non per le squadre, questa confusione ci rende dei polifemi, invece i tarocchi limitano alle immagini, alle sentenze e a numerose direzioni, limitano a una struttura del pensiero che può ancora darci un sembiante di realtà, ehm può darci un’interpretazione aderente al nostro cuore più nascosto.

Ma la storia di Maria la rossa, come finisce?
Alcuni dicono che in giornate nebbiose come questa, lei giri per la piazza bofonchiando incantesimi di effetto passato, le sue magie agiscono e poi lei pronuncia la formula, la meschina aveva sofferto per amore e quel romanticone del Diavolo la lasciò legata in tutto al passato, come qualunque spasimante deluso, come in effetti il sommo cornuto è. La rossa fa malefici contro la città, per punirla della ottusagine che la rinchiuse. 

Ma questi tarocchi non possono dirci almeno un po’ di futuro? Per esempio, il Napoli vincerà lo scudetto?
Deve cercare nel passato, e vedrà che i tarocchi le diranno quale doppia carta custodisce questa storia. Guardi lì, se non mi crede. 

Come si dice, ‘na vutata e ‘na girata d’occhi e Calvino era scomparso, mentre una secca megera dalla chioma rossa come il fuoco cacagliava qualcosa di incomprensibile, sbuffando dalle narici la nebbia che forse ancora circonda la città del sole. Le ho chiesto, tremando, di leggermi il futuro…

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