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La grande partita della Juventus accresce il valore del Napoli. Ma guardiamo anche ai limiti bianconeri

La grande partita della Juventus accresce il valore del Napoli. Ma guardiamo anche ai limiti bianconeri

Applausi. Non ironici né sarcastici. La Juventus di Monaco, fino al minuto 89, stava battendo il Bayern a casa sua ed era qualificata ai quarti di finale di Champions League. Il resto conta, ci mancherebbe. Tra andare vicino alla vittoria e vincere ci passa l’oceano. Ma una squadra che vince all’Allianz Arena all’inizio del tempo di recupero, dopo aver dato spettacoloper sessanta minuti, va soltanto elogiata.

Anche perché non è stata solo una questione di punteggio, di risultato. Quanto scritto nel pop up in alto a sinistra dei televisori era esattamente quello che era successo in campo: Juventus meglio del Bayern perché più organizzata, registrata, “giusta” sotto ogni aspetto tattico. Ci sono partite che non puoi giocare bene, per tanti motivi. O meglio: ci sono partite in cui vincere giocando pure bene è estremamente difficile. Bayern-Juventus, vista in bianconero, era una di queste. Allegri, tecnico accorto e intelligente, lo sapeva. E ha preparato la partita nell’unico modo in cui poteva, anche alla luce delle assenze: Chiellini, Marchisio, Dybala. Una riedizione in chiave europea di Juve-Napoli, fatte le dovute ed enormi proporzioni del caso e quindi moltiplicando più la componente difensiva che quella di gestione degli spazi. Se contro la squadra di Sarri intensità in fase di non possesso e slow play posizionale nella gestione offensiva si alternavano con precisione e armonia, in Baviera abbiamo assistito a una esposizione bella e, ripetiamo ancora, giusta, del gioco all’italiana. Non alla Trapattoni o Bearzot, ma una versione riveduta, corretta e al passo con i tempi: aggressività, linee strette e ripartenze veloci con il miglior Morata della stagione. Tutto per togliere certezze a Guardiola. 

La Juventus, così, ha fatto due gol e ha più volte sfiorato il terzo. Ripartendo dopo aver atteso, non attendendo per ripartire. Sono due cose diverse. Non è mentalità non vincente, è l’esatto contrario. È l’umiltà di chi sa di essere inferiore, anche se ormai non più come tre anni fa (allora fu una vera carneficina), e quindi adegua sé stesso e la propria partita a chi si trova di fronte. Sabato 13 febbraio un piccolo grande Napoli. Ieri sera, un Bayern che è l’eccellenza assoluta in Europa. Fateci caso, la partita è tutta lì. La deviazione di Albiol sul tiro di Zaza come il malinteso tra Alaba e Neuer, sono circostanze negative. Ma la Juve le ha meritate entrambe, alla luce di partite giocate come si dovevano giocare. Poi, ovviamente, l’avversario ha caratura e qualità un tantino diverse, e lo vedi con l’ingresso di Coman e Alcantara che cambiano letteralmente la partita. Il francesino, soprattutto, è stato decisivo: metterlo dalla parte di Alex Sandro ed Evra nel momento di massima spinta ha voluto dire sottoporre i due a uno stress mentale e fisico suppletivo e terrificante. Nell’errore del terzino ex Manchester, secondo chi scrive, c’era soprattutto la stancheza di chi si è visto spuntare davanti una specie di scheggia, impazzita e incontrollabile. 

I cambi, ecco. Decisivi per Guardiola, forse anche per Allegri. Perché l’ingresso di Mandzukic per Morata ha rallentato il possibile contropiede, perché Sturaro non è Khedira e perché Pereyra non è Cuadrado. Una cosa è il Bayern e una cosa è la Juventus, anche per questo. Ma buttare la croce addosso al tecnico livornese vuol dire non riconoscerne i meriti e dimenticare quanto la Juventus avesse speso per disegnare il capolavoro che è stato il primo tempo. Quindi, come dire: la seconda squadra della Juventus non vale come la prima, ma se questi sono gli uomini a disposizione anche causa infortuni, un allenatore può solo sperare di essere più fortunato. Ad Allegri, stavolta, è andata male. Perché ha dovuto ripiegare su Sturaro, il calciatore più giovane e inesperto a questi livelli del suo centrocampo. Uno che all’andata aveva trovato il gol e al ritorno ha pagato il dazio di quel momento di gloria e ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare. E poi perché, a un certo punto, si è ritrovato con la spia della riserva accesa. Giustamente, contro un Bayern spinto dalla forza dei nervi e dell’aria che viene a mancare sott’acqua. La Juventus è ripiegata, si è chiusa e non è più riuscita a ripartire. Una stanchezza comprensibile, ma decisiva in negativo: solo contro una squadra tanto schiacciata il Bayern poteva trovare il primo e soprattutto il secondo gol. È andata proprio così fino al 90esimo, con l’appendice di un secondo supplementare giocato tra una squadra morta nel fisico e nella testa e una lanciata dall’adrenalina della rimonta da completare.

Nonostante tutto questo, però, la sconfitta della Juventus racconta di come il grande Bayern abbia avuto bisogno di un gol a tempo scaduto. E che, ricordandoci che siamo Il Napolista, ci dice tanto del valore della Juventus e della squadra che la insegue in campionato. A soli tre punti. E che è in questa condizione solo perché, nello scontro diretto, ricopriva il ruolo che ieri sera è stato della Juventus mentre la Juventus era il Bayern. Per fatturato, per dirla à la Sarri. Ma anche per profondità del roster, per esperienza a certi livelli e per la fortuna sfacciata che si somma alla stanchezza e alla bravura dell’avversario. In campo, invece, quella sera la Juventus fece la Juventus e basta, con le sue armi: umiltà, capacità di adattamento all’avversario e alla partita. Come ieri sera, del resto, quando aveva buttato fuori il Bayern di Pep Guardiola. Fino all’89esimo minuto, e meritatamente. Dunque applausi, applausi e solo applausi. A loro, che ce la stavano facendo. E a noi, che ce la possiamo ancora giocare. Anche con loro.

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