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Da Dal Fiume al Villarreal, lo strano concetto di “essere da Napoli”

Da Dal Fiume al Villarreal, lo strano concetto di “essere da Napoli”

La prima partita che ho visto al San Paolo è stata in notturna, Coppa Uefa 1982/83, ci giocavamo il passaggio del turno contro la Dinamo Tbilisi. Vincemmo 1 a 0 con gol di Dal Fiume e di quella serata mi sono rimaste impresse tante cose. L’emozione della prima volta allo stadio, della prima vittoria vissuta sugli spalti, la sensazione di contribuire ad essere il 12° uomo in campo e… una frase che ascoltai da un tifoso, adulto, accanto a me. Rispondendo ad un commento sul numero 9 avversario, che ci aveva fatto gol all’andata e che qualche altro tifoso avrebbe voluto nel Napoli, disse “non è un giocatore da Napoli”. Lo disse con tono perentorio, apodittico. La sua affermazione non ammetteva risposta e, infatti, nessuno osò controbattere. La sentenza era stata data.

Frequentando lo stadio nei molti anni successivi (sempre occasionalmente, ci tengo orgogliosamente a dirlo), è un commento che ho ascoltato più volte, sia in curva che in tribuna. Mi ricordo di averlo ascoltato su giocatori che io ritenevo forti. Dunga, per esempio. O su giocatori che a Napoli facevano sempre la partita della vita. Negli anni d’oro, quando il Napoli svettava, era comprensibile: avevamo una squadra forte e difficile da migliorare. Ma nel 1982/83 arrivammo dodicesimi, a pari punti con l’Avellino, e avevamo vinto, nella nostra storia, solo un paio di Coppe Italia e qualche torneo oramai sparito dalla memoria di chiunque. All’epoca, quindi, mi sembrava incomprensibile il fatto che un giocatore forte non fosse “da Napoli”.

Intendiamoci, per me il Napoli era LA squadra, come tutti i bambini di 7 anni sognavo di vedere Zico e Rummenigge con la maglia azzurra (e qualche anno dopo arrivò Maradona a dimostrarmi che alle volte i sogni si realizzano, oltre le più rosee aspettative), ma proprio perché era LA squadra, avrei voluto che ci giocassero i più forti; immaginavo una mia personalissima Top11 (come si diceva allora) scendere in campo al San Paolo e mi meravigliava molto il fatto che alcuni calciatori, seppur indiscutibilmente forti e talentuosi, non fossero considerati “da Napoli”.

Con il tempo ho capito che per essere “da Napoli”, secondo molti tifosi, non basta essere forti, non basta parare o segnare o difendere bene o benissimo. Bisogna essere degni. E la dignità non ha tanto a che fare con il talento, anzi, non ha niente a che fare con il talento. È una questione di etica.

Per essere “da Napoli” bisogna far finta di non essere “mercenari”, di amare la città, di amare il pubblico come se stessi. Zoff nella sua autobiografia (molto bella, leggetela) parla molto del suo periodo a Napoli e racconta di come sia stato praticamente costretto a fare una cosa che non voleva fare: salutare il pubblico al suo ingresso in campo. Cominciò a farlo con discrezione, com’era nel personaggio, alzando un braccio verso la curva e in quel momento diventò “da Napoli”. Zuniga, per fare un esempio dei giorni nostri, è diventato “da Napoli” con tre saltelli durante un’amichevole (prima di infortunarsi sine die, ma questa è un’altra storia).

Perché ora mi tornano in mente quel commento e tutte le riflessioni che ne sono seguite? Perché ultimamente mi pare di capire che i tifosi abbiano cominciato a pretendere non solo che i giocatori azzurri siano “da Napoli”, ma che lo siano anche gli avversari.

Roma e Milan sono venute al San Paolo impostando la partita in maniera decisamente difensiva. Alla luce dei risultati hanno fatto bene, hanno portato a casa il pari. La Juve, allo stesso modo, ci ha battuti allo Stadium con un atteggiamento decisamente rinunciatario. 

La reazione dei tifosi è stata quasi “indignata”. “Ma come, vengono qui e si difendono? Fanno il catenaccio come se fossero il Sorrento?”.

L’assunto è che l’avversario dovrebbe anteporre al proprio tornaconto (il risultato) una questione morale, anzi, estetica. Dovrebbero, gli avversari, sempre secondo alcuni tifosi, perdere ma con bellezza, dimostrandosi all’altezza del Napoli sotto il profilo estetico. De Laurentiis (uno che non è “da Napoli”) questa cosa certe volte non la capisce (“ma che avete vinto voi?” sbottò una volta rivolgendosi ai tifosi), certe altre volte la usa per proprio tornaconto (“tizio non vuole ridursi l’ingaggio e cedere i diritti d’immagine? Non è da Napoli!”).

C’è anche un altro motivo per cui questo “da Napoli” mi ronza in mente. Si tratta della partita di stasera. Ci giochiamo il passaggio del turno in Europa League, proprio come quella volta con la Dinamo Tbilisi. Anche stavolta abbiamo perso all’andata. Eppure c’è una parte della tifoseria che preferirebbe uscire, che pensa che l’Europa League non sia “da Napoli”, così come non lo erano le Coppe Italia vinte negli anni passati. Per costoro l’unica cosa che è “da Napoli” è ‘o scudett’. Ecco, forse non sarò “da Napoli” neppure io, ma io il turno stasera lo vorrei passare e Dunga, all’epoca, lo avrei preso.

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