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Kafka spiega la metamorfosi di Hamsik

Kafka spiega la metamorfosi di Hamsik

Presentare l’illustre ospite di oggi è cosa che va al di là delle nostre possibilità; Franz Kafka appartiene a quell’olimpo umano che ci attraversa appena.

La ringrazio di queste parole che, nonostante mi mettano a disagio, ora come ora risultano efficaci nella descrizione; non mi riferisco, certo, all’allusione divina con la quale lei gentilmente mi denota, ma a quel qualcosa che attraversa gli uomini. Mi trovo stipato in un luogo privo di tempo e di chissà quante altre dimensioni, tanto che se anche riuscissi a trovre un’immagine in grado di descriverlo, dalla mia bocca uscirebbero parole atte a rappresentare un impiegato qualunque, lontane dalla verità.

Noto con sorpresa che anche qui dove ora si trova non ha abbandonata il suo cane.

Questo animale non è mio, è presente in una foto con me e una donna, una foto molto vecchia; chi sia stato il suo padrone non ricordo; quello che rimane, in realtà, è il mio persistere nel gesto di tirargli l’orecchio, di accarezzarlo per non dover fare altro.

Signor Kafka, in questa intervista contiamo sul suo lato calciofilo

Contate bene, allora: se il dolore fu il primo sentimento umano, quello del gioco e del mito fu la conseguente risposta; potremmo prendere a prestito un detto della sua terra, mi permette?

Permetto eccome

Fare lo scemo per non andare in guerra; in senso lato è quello che facciamo tutti mentre seguiamo una partita: deleghiamo ad altri, ai giocatori nella fattispecie, la follia di mettersi in gioco, mentre tessiamo teorie d’ogni tipo per sentirci validi pur non rischiando nulla. E’ il concetto generale di cultura:delegare per non soffrire.

È una pratica anche sua? Anche dal luogo da cui ci parla?

Non mi sono mai interessati i luoghi, se non quello che i luoghi significano;siamo un divenire continuo e senza radici: ero austrungarico, boemo, ebreo, tante cose, tutte imposte dall’esterno, tutte un enorme peso, ma anche tutte sensibili a me e io a loro. I cieli dell’europa orientale lasciano il segno, è innegabile.Comunque sia, un’antica tradizione Veda può aiutarci a comprendere: nel sacrificio del cavallo, l’officiante blaterava le sue formule sottovoce mentre praticava delle incisioni sulla povera bestia, interrompeva il soffuso vociare solo quando qualcuno gli si avvicinava per chiedergli: «cosa dici?», allora passava lo stilo per le incisioni al curioso.

Che segno hanno lasciato in lei i cieli dell’est europeo?

Lo stesso che persiste nella cresta mutante del vostro capitano: l’accettazione ai tempi e al tempo.

La domanda era d’obbligo, Hamsik è quasi della sua stessa patria.

Come le ho detto i luoghi assegnati non stuzzicano il mio interesse, ma non posso negare che la patria, con tutti i simboli che con essa si trascinano, è un’ombra sul cuore di ognuno di noi. Nel vostro capitano ritrovo molto di quanto era in me: una certa insistenza, coerenza, costanza, con tutti gli annessi dolori inesprimibili, la stessa presenza paterna.

Allude a esperienze familiari precise?

No, non familiari, per quanto immagino che ce ne siano come per tutti. Ho parlato di presenza paterna, una presenza che si respira anche nelle strade delle nostre città, un peso che fa piegare la testa. La presenza paterna accresce le proprie dimensioni ad ogni possibile capitombolo morale, si tratta di una pesantezza che soffoca e dirige allo stesso tempo.

Si riferisce al padre di Hamsik?

Lei non mi segue, ho parlato di presenza: una presenza potrà anche nutrirsi di un corpo,  dell’essenza di una persona, ma, pur restando reale, amplifica il suo ingombro ad ogni contatto con noi, divenendo ancor più marcatamente reale. Da sempre siamo schiacciati dall’esterno e dall’interno, da sempre la nostra reazione è stata moralmente cercata, da sempre restiamo soffocati da tutto questo. Il vostro Marechiaro risulta ultimamente più agile, sarà stata la cresta snellita a facilitargli le cose, o forse ha fatto i conti con questa presenza, come feci io con la mia, solo che io non risolsi nulla.

Di questa presenza, quindi, Hamsik si sarebbe liberato.

Continua a non seguirmi, ho detto che ha fatto i conti con essa, credo l’abbia riconosciuta, questa responsabilità che si passa di padre in figlio, una sorta di virilità molto poco giocosa ma molto infantile che non si fa a tempo a scaricare che subito diventa quell’onere definitivo che introduce alla maturità. Non è una questione di simboli, in effetti, piuttosto di intensità, qualcosa che è ovunque, forse un addentrarsi nel dolore, inutilmente ma con piacere.

Cerco di comprendere: il nostro capitano sente forte la sua responsabilità verso la squadra, forse?

Sente forte qualunque responsabilità, non ve ne fossero se le creerebbe da solo. Una volta, quando divenni del tutto vegetariano, mi chinai verso una vasca di gamberetti sorridendogli, finalmente libero dalla colpa. Mi spiego?

Eppure il Napoli sembra una squadra molto unita, tutti, anche Hamsik, sembrano sereni e concentrati.

Io parlo di cose che solo le persone nella loro solitudine sentono, il gruppo ha poco a che vedere con tutto ciò, se non nel legittimarlo.  

Devo ammettere che lei è persona oscura

È la verità ad esserlo

Un’ultima domanda: crede che il Napoli sia favorito nella corsa allo scudetto?

La vittoria è un pozzo pieno di luce, bisogna chiudere gli occhi per non finirci dentro.

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