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Juventus-Napoli del 75 non fu solo core ’ngrato, a Capodichino la squadra venne applaudita dai tifosi

Il 1975 è l’anno del caos totale per Napoli. Palazzo San Giacono è assediato ogni giorno da proteste di disoccupati e cortei di operai, la chiusura delle fabbriche è all’ordine del giorno così come le cariche della forza pubblica. A Piazza Dante, durante una manifestazione, muore un innocente senza lavoro, colpito alla testa da un lacrimogeno della polizia. A rendere il clima della città ancora più fosco è l’ondata di terrorismo, sia di sinistra che di destra, che invade decine di quartieri, da Fuorigrotta al Vomero, da Piazza Cavour a Chiaia. Le molotov sono all’ordine del giorno. A Napoli sono nati i N.A.P. (Nuclei Armati Proletari), un gruppo di terroristi rossi che fanno azioni dimostrative con l’uso di bombe ed armi. In via Foria, i fascisti bruciano viva, nella sua macchina, Iolanda Palladino. Manca l’acqua in diversi quartieri, la popolazione scende in piazza con blocchi stradali e manifestazioni, peggiorano le condizioni igieniche della città con lo sciopero dei netturbini che vanno a scaricare la spazzatura fuori Palazzo San Giacomo. La salmonellosi fa diverse vittime appena dopo l’estate, dodici nella sola città. La crisi turistico-alberghiera è al culmine, diversi alberghi vengono messi in liquidazione, colpita perfino Edenlandia con un incendio di chissà quale natura. Si spegne l’occhio dell’Osservatorio, troppo smog nel cielo di Napoli. La città, secondo le statistiche, è prima nel traffico di contrabbando di sigarette. In questo clima caldo e di tensione sociale si svolge la campagna elettorale per le elezioni amministrative, a Napoli c’è un vuoto di potere che è una voragine. Ormai il centro-sinistra appare al capolinea per l’enorme distanza fra il Comune e l’opinione pubblica ma le elezioni segnano il sorpasso del Pci sulla Dc con i comunisti che aumentano i consiglieri mentre lo scudo crociato li perde. Il Comune diventa rosso ma gli elettori non hanno dato i voti necessari per formare una maggioranza con Pci, Psi e Pdup. Dopo vari tentativi andati a vuoto, la Giunta minoritaria di sinistra diventa l’unica soluzione praticabile. Verrà eletto sindaco Maurizio Valenzi pur non disponendo della maggioranza dei voti e tutti sono portati a credere che questa esperienza durerà poco. Invece si tramuterà in una lunga amministrazione che governerà per ben otto anni.

In questo clima sociale sereno come uno tsunami il Napoli prepara la trasferta di Torino con la Juventus del 6 aprile che vale un campionato, la vittoria per gli azzurri significherebbe il primo posto in coabitazione coi bianconeri a cinque partite dalla fine. In quella prima “presa di Torino” l’esodo fu ancora più massiccio di altre trasferte sebbene i napoletani sapessero che sugli spalti avrebbero trovato gli altri “fratelli” che lavoravano al Nord per formare un solo ed unico sodalizio, un muro fatto di tamburi e cori di incitamento come mai si era visto al seguito di una squadra fuori casa. Ed allora, tra quelli partiti da Napoli, c’è tutta una città in movimento, con tutte le sue gioie, la sua normalità ma anche le sue contraddizioni. Ci sono disoccupati, contrabbandieri, spazzini, operai licenziati e in cassa integrazione, chi si interessa di politica, chi pensa ai primi sballi. Ci sono proprio tutti, c’è un capoluogo intero che freme, che ribolle, che si agita. È una settimana che non si chiuderà, come vedremo, al fischio dell’arbitro ma che continuerà per diversi giorni, almeno fino a quando, nella domenica successiva, il Napoli seppellirà di reti la Ternana con uno storico 7 a 1 al San Paolo.

Alla vigilia della gara con la Juve fu Juliano, condottiero azzurro, a incarnare tutte le speranze antiche e contemporanee di un’intera città dove sembravano emergere solo i problemi più che le cose belle. Il capitano di sempre lo dichiarò, senza giri di parole, anche alla tv. Disse: «Andremo a Torino a fare la nostra partita, non abbiamo nulla da perdere». E fu così perché, quando la squadra si rese conto di potersela giocare alla pari coi bianconeri, fece un secondo tempo splendido con occasioni da rete una dietro l’altra. Ahimè, fino alla “pugnalata” di Altafini all’88’ minuto, un gol che spazzò in un solo istante le speranze di 40mila napoletani sugli spalti. Oggi chi potrebbe incarnare le speranze di una città è Insigne, napoletano verace, è lui che dovrebbe rappresentare, col piglio da leader, il riscatto di una Napoli ferita che non ha gli stessi problemi del 1975 ma che, forse, ne ha di più in quantità.

Ore 15 di quel pomeriggio di aprile del 1975. In città non si sente un clacson, non un rumore, non uno schiamazzo, non un ragazzino sta tirando calci ad una palla in strada. Da un quartiere all’altro di Napoli solo il brusio e l’eco della radiocronaca di Ameri, collegato per il secondo tempo in “Tutto il calcio minuto per minuto”. Sono tutti attaccati alla radiolina, il Napoli sta perdendo per il gol di Causio nei primi 45 minuti. Il tempo trascorre, i collegamenti col Comunale di Torino arrivano dopo aver sentito gli inviati dagli altri campi, sembra un’eternità. Si soffre. All’improvviso un boato: l’avranno registrato anche i sismografi. Un boato gigantesco, una sorta di risveglio del Vesuvio, è il gol del Napoli, Juliano buca il suo amico Zoff, è la speranza di una città che sembra riemergere dai propri guai. E dimenticare i propri guai. Nei vari club già ci si prepara per l’accoglienza della squadra a Capodichino, si pensa in grande, alla vittoria o al massimo al pareggio, che può starci anche bene. Il Napoli sta dominando, la Juve sembra groggy, l’eco di questo predominio si diffonde nell’etere, tutti pensano a cosa fare dopo la fine della partita. Scendere in strada a festeggiare il neo primato o andare ad accogliere gli eroi a Capodichino? Esporre bandiere azzurre ai balconi o fiondarsi in qualche covo di tifosi, ad esempio in Galleria? La margherita, che tutti stavano sfogliando con la gioia nel cuore, all’improvviso appassisce. Poco prima delle 17 tutta l’amarezza di un popolo, al gol di Altafini, emerge. È una beffa, La Palma non gli ha fatto vedere palla nei minuti in cui è stato in campo, cominciano i primi groppi in gola. Non è il nostro “Maracanazo” ma poco ci manca, il rospo è troppo indigesto da ingoiare. Ed allora chi ha la forza continua a sventolare bandiere e drappi azzurri da finestre e balconi, il Napoli ha fatto una grandissima partita anche se il sogno dello scudetto si allontana quasi definitivamente.

A fine partita perfino qualche macchina passa con la bandiera azzurra in città, sembra voler festeggiare ad onta di come è finita, troppo forte l’amore dei napoletani per questa squadra, troppo forte la voglia di riscatto che gli azzurri incarnano in quel preciso momento storico dove tutto sembra andare storto, dove la nostra città sembra una delle ultime al mondo. Ma non lo è e non lo sarà mai. In Galleria Umberto, intanto, luogo dell’incontro dei tifosi, ci si raduna per discutere dell’amaro risultato finale. È qui, tra l’altro, che nasce una leggenda, quella di Altafini “Core ‘ngrato”. La scritta troneggia su un bozzetto che campeggia proprio in Galleria, chissà se quel tifoso si rese conto di aver dato il marchio di fabbrica ad uno dei soprannomi più diffusi nel mondo del calcio. È una scritta che testimonia l’amarezza dei napoletani più per chi ha fatto da giustiziere al Napoli che per la sconfitta stessa. Al tifoso che scrisse quella storica frase l’accostamento deve essere venuto spontaneo. Purtroppo fu proprio Altafini, un giocatore al quale i napoletani avevano dato tutto, lo avevano voluto bene, a rovinare un campionato. Ancora una volta il “padrone-Agnelli” sembra aver sconfitto gli “operai-napoletani”, quelli saliti a Torino con ogni mezzo e quelli che da sempre lavorano alla Fiat. Ma si è perso solo una battaglia, non la guerra.

Quando a sera il Napoli rientra all’aeroporto di Capodichino la città va ad accogliere la squadra da trionfatrice, è quello che tutti dovremmo fare domenica mattina con la squadra di Sarri in qualunque modo vada la sfida con la Juventus. Esce per primo La Palma. volto tirato, espressione contrariata, poi Canè, Clerici, Pogliana, Massa, si levano applausi e consensi per la splendida gara disputata. Gli altri, tra cui Favaro, Carmignani, Juliano con la figlioletta in braccio, lasciano l’aereo e raggiungono il varco in fretta. Quante speranze, quante illusioni sembrano morire con questa sconfitta, il riscatto di una città legato come non mai ad una partita di pallone. Continuano gli applausi, gli incitamenti, le grida di evviva. Più di uno si scaglia contro Altafini, in tanti gridano che il “coniglio” non deve più mettere piede a Napoli. Poi tutto si placa, il pullman con i giocatori lascia l’aeroporto, nell’aria c’è umidità, qualcuno insegue il pullman per un ultimo applauso, un ultimo evviva, un ultimo incitamento. Come quando si accompagna la propria ragazza al treno e non vorresti mai vederla svanire all’orizzonte. E corrono, corrono i tifosi con il fiato in gola e la voglia di dimenticare le miserie della vita quotidiana. Il proprio mondo in un pallone. Ancora un codazzo di auto strombazzanti dietro al bus, il piccolo corteo imbocca la discesa della Doganella, è notte fonda. Le solite ragazze coi falò accesi, le solite buche, il solito traffico, la solita scarsa illuminazione. È la fine di un sogno di primavera. Domani è un altro, solito, giorno. Per continuare a combattere. 
(foto Collezione Morgera)

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