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Napoli primo in classifica. 25 anni di attesa, tra Ranieri, Corbelli, Dionigi, Ignoffo

Napoli primo in classifica. 25 anni di attesa, tra Ranieri, Corbelli, Dionigi, Ignoffo

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, la notte in cui Maradona fece le valigie e lasciò Napoli, senza un saluto, senza un abbraccio, col capo chino, scosso, libero di una pipì pregna del suo vizio e utilizzata per metterlo fuori dal calcio. Lui perdeva il suo divertimento, Napoli perdeva il suo re. Marzo ’91. Nessuno lo pensava. Eppure scoprimmo Zola, l’altro fenomeno, e gli volemmo bene. 

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, mentre Moggi ci lasciava, lui che passava per il re del mercato, ci disse addio e tornò al Torino, mentre in panchina arrivava un tecnico che tre anni prima era stato alla Puteolana, la Puteolana? ci chiedemmo, era Claudio Ranieri. Eppure rigenerò Careca, lanciò Zola, volle Blanc in difesa e comunque ci portò al quarto posto, maggio ’92, in Coppa Uefa.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando volammo a Barcellona a prendere la firma di Hristo Stoichkov, giugno ’92, l’acquisto del rilancio, e invece lui giocava solo a far alzar la posta al Barcellona. Chiedemmo Lombardo alla Samp e invece arrivò Pari, Francini e Corradini non erano più gli stessi, e contro il Psg ci travolse la furia del giovane Weah, col povero Ziliani finito in mezzo a una storiaccia. Eppure scoprimmo Fonseca, che cinque ne fece al Valencia, e ritornò a Soccavo Ottavio Bianchi.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando Corrado Ferlaino lasciò tutto tra le mani di Ellenio Gallo, era la crisi, via Crippa, via Zola, la squadra senza stipendi per mesi e mesi, lo spettro della messa in mora, una società sempre sul filo del rasoio, avendo in panchina un allenatore subito in rotta con il dg, Marcello Lippi contro Ottavio Bianchi. Eppure venne lanciato Fabio Cannavaro, futuro Pallone d’oro, una stagione che finì con un piazzamento Uefa, maggio ’94.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando estate ’94 andarono via anche Ferrara insieme a Lippi, e Fonseca, e Thern, e Di Canio. Il Napoli scoprì d’avere nelle sue stanze qualcuno che provava a comprare giocatori con bot e cct falsi. Guerini durò in panchina sei giornate, dopo arrivò Vujadin Boskov, almeno a tenerci su il morale, 33 punti nel girone di ritorno e una qualificazione per l’Uefa mancata nei minuti di recupero dell’ultima giornata. Eppure trovammo le punizioni di Andre Cruz e ci restò nel cuore Carmelo Imbriani, per un gol di tacco cercato a Torino con la Juve e per i suoi occhi onesti, puliti

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando tornò Ferlaino per firmare la cessione di Cannavaro, era l’estate del ’95, neppure Boskov poté fare troppi miracoli, un Napoli che per quindici partite non segnò, un disastro in trasferta quasi sempre. Una società senza più mezzi per vivere, solo per vivacchiare. Eppure il 1° ottobre, col gol di Pecchia a Torino contro la Juve, restammo in testa alla classifica per qualche minuto, era la quinta giornata.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando bisognava rincorrere Beto nei locali, talentuoso ma bizzoso; quando Gigi Simoni decise di lasciarci per andare all’Inter a metà campionato, facendo rotolare la squadra sempre più giù dall’alta classifica, fino al 13° posto. Eppure giocammo una finale di Coppa Italia, maggio 1997, con Taglialatela para-rigori, i polmoni di Boghossian e le gambone di Alfredino Aglietti.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando vendemmo tutti in una volta Pecchia, Boghossian  e Cruz, quando cambiammo quattro allenatori in un anno solo, e nel veder andar via Mazzone capimmo, perché se si arrende uno come Mazzone allora è finita. Quando vedemmo per la prima volta un calciatore dimettersi dalla maglia azzurra ed era il principe Giannini, quando prendemmo Prunier e Calderon, e Stojak, e Asanovic, quando con noi giocava perfino Allegri, quando Cannavaro Fabio chiuse in lacrime la partita a Parma nel pomeriggio in cui andavamo in serie B, aprile ’98, sembrava il peggio, non era ancora nulla.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando tornò Juliano e trovò solo macerie, provò a ricostruire chiamando Ulivieri, gli pareva il migliore, accanto a lui un giovane Mazzarri, e invece non funzionò. Era simpatico Ulivieri, battute a raffiche, ma punti pochi, in B eravamo e in B restammo, perché il massimo che potevamo permetterci era Daniele Daino in prestito dal Milan.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, neppure l’anno dopo, comunque una gran festa, per il ritorno in serie A con Walter Novellino, vecchio Monzòn della panchina. Un quarto posto acciuffato un po’ così, ma ventidue reti di Schwoch e una porta che non sapevamo a chi affidare, se al celebre Mondini o all’umile Bandieri. 

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando la serie A subito ci respinse, partiti com’eravamo col boemo, con l’utopia di Zeman, il sogno di spargere palloni nelle reti altrui, poi ripiegato dopo sei giornate, il primo allenatore licenziato dagli ultrà, in diretta tv, un anno sciagurato che segue la decisione di ritirare per sempre la maglia con il dieci, quella vestita da Diego e mai più da nessuno, almeno così credevamo, e invece c’era il trucco, c’era la beffa, bastava aspettare e la 10 la avremmo vista ancora. 

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando per mesi non si sapeva di chi fosse il Napoli, un poco di Corbelli e un po’ di Ferlaino, in fondo di nessuno, cosa cambiava, s’andava avanti con i prestiti, con una squadra che chiuse il girone d’andata in serie B agli ultimi posti e in gran rimonta sognò finanche la promozione, primavera 2002, De Canio in panchina, non ci fu nulla da fare. 

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando il pilota della società divenne Toto Naldi, mettemmo una maglia che ci spacciarono per quella dell’Argentina ed era invece della Spal, partimmo con Colomba, passammo da Scoglio, 19 gol di Dionigi, una malinconia, e non era ancora il fondo.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando morì il povero Sergio Ercolano, il derby di Avellino, quando giocammo a Campobasso, a porte chiuse, quando tornò Simoni dopo Agostinelli, quando andavamo avanti con fratelli (Vieri) e figli (Savoldi), tredicesimo posto ma non contò, il campionato vero finì alla fallimentare, il Napoli spariva, non c’era più. 

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, nei giorni di Gaucci. Voleva essere lui la guida e la città pronta ad accodarsi perché faceva le promesse più roboanti, mentre l’imprenditoria napoletana faceva altro, guardava altrove, chiedeva l’aiuto della politica. E alla fine spuntò Aurelio De Laurentiis, settembre 2004, ci chiamammo Napoli Soccer, avevamo i titoli dei film sulla maglia, nemmeno un pallone per cominciare il ritiro, ma di nuovo il numero 10 dietro le spalle, perché eravamo in serie C. Con Ignoffo, Consonni e Giubilato. Con 62mila persone allo stadio per la Reggiana. Ma in C restammo, nonostante Ventura. Eppure conoscemmo Edy, Edy Reja, il gentiluomo con cui tutto sarebbe ricominciato.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando nel 2006 tornammo in serie B con Bogliacino, i gol dell’arciere Calaiò. E poi Salvini, Varricchio, Maldonado.

Nessuno pensava che saremmo arrivati dove siamo, quassù, quando riattraversammo la serie B accanto alla Juve, l’inferno prima o poi tocca davvero a tutti, e con lo 0-0 di Marassi tornammo su, 10 giugno 2007, la luce, di nuovo la luce dopo il tunnel.

Il resto lo sapete. Il resto è in una sfilza di nomi, i grani di un rosario, preghiere che sembrava nessuno avrebbe ascoltato, invece no, l’inferno era alle spalle, anche se ancora non lo sapevamo, anche se c’erano ancora sconfitte lungo il cammino, era dolore, facevano sempre male, ma erano diverse, differenti, erano tappe, non più ferite. E Domizzi, Iezzo, Donadoni. E Grava, Sosa, l’altro Cannavaro. Contini, Denis, Aronica. Maggio, Montervino, Mannini. Gargano, Rinaudo, Santacroce. De Sanctis, Pazienza, Campagnaro. Quagliarella, Zuniga, anche Datolo, certo, anche Datolo. E poi Bigon, Mazzarri, Hamsik, Lavezzi, Cavani, il Villarreal, il Chelsea, Drogba, anche Fideleff va bene, stasera anche Fideleff va bene. Poi Rafa, l’Europa, il Dnipro. Spalla a spalla, sin prisa, la storia dell’asino. Le Coppe Italia, la Supercoppa, i rigori. Rafael, Reina, Gonzalo. Insigne, Mertens, Gabbiadini. Callejon, Jorginho, Koulibaly. Albiol, Hysaj, Ghoulam. E noi, sempre noi, un po’ più vecchi, ma con la nostra storia, fatta di cadute e ripartenze, di salite e discese. Nessuno pensava che saremmo arrivati quassù. Che magnifica storia che siamo.
Italo Alloggi

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