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Il calcio si accorge oggi di Blatter e Platini. Nulla cambierà, hanno solo perso una guerra di potere

Sepp Blatter c’era già nel 1990, era un veterano. Segretario generale della Fifa. Presidente era l’immarcescibile Joao Havelange. Dalla tribuna dello stadio Olimpico, vide l’arbitro Codesal decidere un Mondiale con un rigore quantomeno dubbio, diciamo pure inventato. La Germania sollevò la Coppa, Maradona finì in lacrime. Blatter sorrise. Pochi mesi e a Diego trovarono tracce di cocaina nella pipì. Tre anni dopo, lo andarono a ripescare più o meno dove si era nascosto il nazista cercato da Sean Penn. “This must be the place”, disse Blatter. Ma non lo lasciarono nudo nella neve, come in una delle scene più feroci della storia del cinema. Gli garantirono un salvacondotto. Perché solo lui avrebbe potuto riempire gli stadi americani in quel Mondiale del 94.

Michel Platini muoveva i suoi primi passi da dirigente. Non da uomo politico: questa carriera l’aveva cominciata molto prima, quando ancora deliziava il pubblico con scarpette e pantaloncini. Osservava Blatter e capiva come si faceva. Non che non lo sapesse, eh. Era presidente – ufficialmente co-presidente – del comitato organizzatore dei Mondiali di Francia del 1998. Il Montezemolo francese. Quei Mondiali, da calciatore, gli rimasero sempre all’altezza del pomo d’adamo. La Germania gliela aveva resi indigesti. Quando vide Schumacher rompere due denti a Battiston con un’entrata assassina, e poi continuare tranquillamente a giocare, forse capì definitivamente che per vincere occorresse qualcosa di più rispetto a un centrocampo con lui, Giresse e Tigana. 

A quei Mondiali, in America, vide Diego sbattuto via perché aveva osato troppo. Mandarono un’infermiera a prenderlo. Si era messo in testa di vincere. Senza nemmeno ringraziare, anzi. Quattro anni dopo, si presentò in tribuna d’onore con la maglia della Francia sotto la giacca. Non lo vinse sul campo il Mondiale ma lo vinse. Contro un Brasile con un Ronaldo (quello vero) mandato in campo a forza dopo una crisi epilettica. 

È il calcio. Lui lo sapeva. Del resto la sua esultanza dopo il rigore che assegnò la Coppa dei Campioni all’Heysel resta nella storia. Più del gol che gli fu annullato in finale di Coppa Intercontinentale contro l’Argentinos Juniors. Anni dopo, chiese scusa nella sua autobiografia. Tornò da solo in quello stadio. Ma se vuoi comandare, devi sapere come ci si comporta. 

La storia è più o meno la stessa a ogni latitudine. Che si tratti di politica, criminalità organizzata o di altro. Servono voti e soldi, magari non in quest’ordine. Si è inventato l’Europeo a 24 squadre per aumentare gli uni e gli altri. Se l’è organizzato di nuovo a casa sua, come quello che vinse da giocatore nel 1984. Più squadre, più federazioni contente, più partite, più stadi. Elementare Watson. Si è inventato un sistema di selezione delle squadre in Champions per portare ai gironi anche le formazioni materasso. Il principio è lo stesso: portano voti.

Blatter si inventò l’eliminazione del retropassaggio. Provò a stravolgere il calcio col golden gol che però durò poco. E come a Risiko è stato abile a capire prima di altri l’importanza dell’espansione. Stati Uniti. Corea. Sudafrica. Nuovi mercati, nuovi voti.

Il gioco si è fatto grande. Russia. Qatar.«Se i Mondiali fossero stati assegnati agli Usa invece che a un paese europeo, tutto questo non sarebbe mai successo», ha detto Blatter. Il comitato etico della Fifa ha squalificato lui e Platini per otto anni. Chi esulta per la vittoria dello sport dovrebbe ri-leggersi la storia della vecchietta che pregava affinché restasse il tiranno di Siracusa. Difficilmente andrà diversamente. C’è semplicemente stata una battaglia per il potere e la vecchia guardia ha perso. Meglio non indagare su chi sono i componenti del comitato etico. Etico. In fondo il calcio è come il cinema. Ci emozioniamo pur sapendo che è tutto finto. Tranne qualcosa. Ecco, aggrappiamoci a quel qualcosa e tiriamo avanti. Oggi Codesal è membro del comitato arbitri della Fifa.
Massimiliano Gallo

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