ilNapolista

Oh mamma mamma mamma, ho visto Sarri. Innamorato non lo so, ma lo zio merita

Oh mamma mamma mamma, ho visto Sarri. Innamorato non lo so, ma lo zio merita

Si potrebbero scrivere pagine e pagine sull’ampiezza (termine oggi molto in voga, quasi quanto il 4-3-3) di significato che a Napoli ha una parolina di tre lettere: zio. Da noi solo incidentalmente lo zio è il fratello di nostra madre o nostro padre. Può capitare ma è una casualità. Lo zio, ’o zì, è un universo variegato, fantastico, che tutto include: dallo spicciafaccende che gravita in tante famiglie, almeno un tempo era così, a ciascuno di noi che almeno una volta è stato proclamato zio sul campo da ragazzini, venditori ambulanti, tossici in cerca di spiccioli. Potremmo scriverne per ore. Ci sarebbe un tabellone della tombola da riempire con le figure associate allo zio. Inconsapevolmente, Maradona ha catapultato Maurizio Sarri in un pianeta che a Napoli una sua storia leggendaria: il pianeta dello zio.

E da zio, Sarri viene spesso trattato. Perché ’o zì è anche quel signore di cui in fondo non si cura nessuno, di cui nessuno sa come vive ma di cui durante le ore diurne un po’ ci si preoccupa per strada, fuori a un bar o a un ristorante. “Acchiappa ’o zì”. Ed è sempre un signore con almeno un’idea fissa, in questo caso la sua è Saponara. Lo trattano da zio e lui in fondo sta al gioco. Potrebbe mandare a quel paese alla seconda domanda, oppure al primo dei tanti sguardi di sufficienza che incrocia. E invece si trincera dietro quegli occhialoni così demodé e quella barba di qualche giorno, e va avanti. Con quel mezzo sorriso che non sai mai se in fondo vorrebbe mollarti uno schiaffone.

Sarri in conferenza stampa è uno spettacolo. Non lo avevo mai visto prima di ieri sera. È l’antitesi di Rafa Benitez (Santiago Bernabeu mi perdoni). Altro che il calcio è bugia. Benitez poteva stare lì a parlare ore senza praticamente dire mai nulla. Sarri a ogni risposta regala tre notizie.

Ci pensa a lui a dire che il Bruges di ieri sera non era poi questa gran squadra. In tanti anni di calcio non lo avevo mai sentito dire. Avrebbe potuto arrampicarsi su pareti di quarti di finale di Europa League, di imbattibilità dei belgi in Europa spezzata solo dal Dnipro. E invece è subito lui a dire: «In altre occasioni li avevo visto correre molto di più, forse hanno subito il clima». Panama. Gli chiedono delle mirabilie del 4-3-3 e lui regala una disamina tattica di disarmante sincerità: «Li conosco i vantaggi di questo modulo, ma ne conosco anche i limiti». E li regala alla platea, senza boria. Spiega l’isolamento di Higuain, i problemi che si creano al centro. E sottolinea, lui, che dopo l’1-0 i belgi in un paio di occasioni sono riusciti a mettere in difficoltà il Napoli.

Ogni risposta, una notizia. Gli chiedono di Jorginho lasciando intendere che l’oggetto della domanda è Valdifiori. E qui ogni allenatore si sarebbe rifugiato nel discorso della squadra nel suo complesso e tutti quei condensati di ipocrisia che ascoltiamo ormai da anni (a proposito, anche in Belgio sono così, ieri Preud’homme ne ha offerto una dimostrazione). E invece lo zio parla senza peli sulla lingua: «Se sta bene, contro la Lazio gioca Jorginho. Anche a Empoli ero incerto, poi ha giocato Valdifiori solo perché eravamo a Empoli». Reina? «Grande personalità, grande lealtà, peccato che giochi lontano dall’azione, uno come lui ci farebbe bene in mezzo al campo, è uno che sa prendersi sempre le responsabilità». Bum. Ne dice persino troppe, viene voglia di fermarlo. 

Il momento in cui ti conquista è quando gli chiedono del terzo gol, quello su schema. Quello che tutti attendevano. Cucchiaio di Jorginho, blocco dei giocatori del Napoli in area avversaria e tiro al volo di Mertens. Cosa le è piaciuto di più? Qui qualsiasi tecnico avrebbe fatto il pavone almeno per dieci minuti, avrebbe raccontato di un mondo che si è colpevolmente accorto di lui in ritardo, avrebbe attinto dalla retorica degli ultimi eccetera eccetera. E invece che ti combina Sarri? «Se devo essere sincero non l’ho visto perché stavo parlando col mio vice» e mentre lo dice ridacchia quasi, che non sai se sta recitando o è veramente così. Straordinario in ogni caso. Smonta anche i fiumi di parole scritti a proposito degli schemi su palla da fermo: «Quali trentatré, proviamo quei cinque-sei schemi che provano tutti». Certo, dopo un 5-0 è tutto più facile. Ma non tutti sanno vincere. In tanti aspettano questi momenti per togliersi le pietruzze dalle scarpe, ricordiamo – per fare un esempio – uno Stramaccioni dopo aver vinto con la sua Inter in casa della Juventus.

Sarri è a modo suo, porta avanti sé stesso, non cerca di vestire altri panni (ce ne siamo accorti, direte voi). E quando gli chiedono dei suoi esoneri, lui con ironia risponde: «Sono contento che nella sera del mio esordio europeo, con vittoria per 5-0, mi chiedete degli esoneri. Siete molto gentili». Ma senza cattiveria, senza rabbia, con signorilità. Non si alza e se na va, come qualcuno avrebbe fatto. Resta lì lo zio, in attesa della prossima. Prova anche a parlare di calcio, di attacchi agli spazi, di circolazione della palla, spiega le differenze tra i moduli, prova invano a dire che l’importante sono le idee di calcio non i moduli. Dietro quegli occhialoni, col sorriso bonario, sempre paziente. Magari saranno stati i cinque gol. Ah a proposito, nemmeno gli è passato per la mente di ricordare che il Napoli in Europa cinque gol non li segnava dalla preistoria. Non sarebbe stato da zio. Lo zio, in fondo, nell’immaginario favolistico, è un sognatore mica un rancoroso. 
Massimiliano Gallo

ilnapolista © riproduzione riservata